Giulia Codognotto Capuzzo
Emotional Branding: i cinque sensi
Oggi la sfida per il brand è provocare emozioni in ognuno di noi con un coinvolgimento a 360 gradi
Giulia Codognotto Capuzzo
Creative Director KeyWe
Quanto è importante valorizzare le nostre sensibilità per essere ricordati? Come sviluppare il sesto senso, la scintilla che accende le passioni e attira gli interessi in comunicazione? Il fattore umano in comunicazione dove può portarci?
Ritengo che il core di ogni comunicazione vincente sia quella che oggi viene definita la “Big Idea”. Un’idea creativa di partenza che poi viene declinata in base alla tecnologia del momento e alle opportunità che nascono. Le nuove tecnologie hanno portato ad ampliare le opportunità di fare comunicazione, cambiando anche il modo in cui ci relazioniamo con il mondo esterno, sia esso tra le persone che tra i consumatori e i brand. Internet e i nuovi device (tablet, smartphone,…) ci permettono di venire a conoscenza di informazioni, vedere video, film, in tempo reale da tutte le parti del mondo. Immaginare una vita senza tecnologia sembra ormai impossibile e, se ci pensiamo bene, gli strumenti tecnologici ci permettono di fare cose impensabili fino a qualche anno fa. Tra la massa di comunicazioni che cadono a pioggia sui consumatori attraverso la tecnologia, l’idea creativa è ciò che fa la differenza. Tra gli strumenti che oggi possiamo usare per essere ricordati troviamo la realtà aumentata (AR e anche VR), il tracciamento/riconoscimento facciale e tutte le attività di Out Of Home che giocano con lo spazio digitale e fisico.
Una volta c’erano esclusivamente i cartelloni pubblicitari, oggi ci sono gli schermi interattivi con touchscreen, webcam e telecamere.
Un’attività molto importante e da non sottovalutare è la condivisione. Tutto viaggia attraverso la rete: i consumatori sono ormai abituati a condividere le informazioni che ritengono interessanti, ingaggianti o anche solo divertenti. Tutto ciò che crea emozioni viene spesso e volentieri pubblicato sui social o sulle chat. Secondo me quindi, in comunicazione la scintilla viene accesa dalle nuove tecnologie al servizio delle nostre idee.
Come utilizzare la tecnologia per offrire una comunicazione più completa? Quanto il fattore umano riuscirà a guidare questo cambiamento integrando i rapporti in carne ed ossa con quelli virtuali? Qual è il destino dell’ADV classico in questo senso?
Viviamo nell’era della trasformazione digitale e della valorizzazione dei contenuti. Non credo ci sia più quello che definiamo ADV “classico”. Bisogna iniziare a parlare di ADV al servizio dei nuovi mezzi di comunicazione digitali, o meglio, viceversa! Un’ADV che si adatta allo sviluppo delle nuove tecnologie.
Non c’è un vecchio o un nuovo modo di fare ADV, è una comunicazione che si evolve nel tempo. Possiamo fare un paragone con la musica. L’uomo ha sempre composto e ascoltato musica. Siamo passati dal giradischi con i 45 giri, alle cassette, ai compact disc fino ad arrivare ai lettori mp3 come l’iPod: milioni di canzoni a portata di mano in qualunque momento o qualunque luogo. Addirittura oggi la musica la ascoltiamo direttamente dal nostro Smartphone.
Con l’ADV dobbiamo capire quale tipo di strumento tecnologico è adatto a veicolare meglio la nostra comunicazione, la nostra idea, e svilupparla attraverso esperienze che mixano il Digital con lo spazio fisico, e che soprattutto creino emozioni.
Quanto è importante oggi estendere la propria immagine su diversi settori? Quali sono i casi di successo più eclatanti? Come ridurre il rischio di perdere valore in questa delicata operazione?
Le politiche di marketing di oggi hanno l’intento di creare delle affinità tra il brand e il cluster di consumatori d’interesse. Partendo dai valori del brand, vengono svolte delle attività di comunicazione e/o di prodotto fondamentali alla Brand Awareness e Reputation.
L’obiettivo, oltre a quello strettamente commerciale, è di avvicinarsi il più possibile al mondo dei propri consumatori cogliendo nuove opportunità in settori diversi da quello di appartenenza. Nelle attività di marketing ricordo Eni quando ha abbracciato il mondo della musica piuttosto che la Redbull con gli sport estremi. È la ricerca di un mercato che sia sempre più rispondente ai valori del brand.
Per quando concerne il prodotto in sé, credo che ci siano anche qui delle evoluzioni che vanno di pari passo con i cambiamenti del consumatore. Per tantissimo tempo la Coca-Cola è stata una bevanda innovativa; quando sono arrivati gli Energy Drink come Monster o RedBull e dall’altra parte il forte interesse da parte del pubblico ai temi riguardanti la sostenibilità, ha dovuto creare una nuova versione del proprio prodotto: un adattamento ai nuovi scenari, quindi un’evoluzione.
Rimanere all’apice è sempre più difficile, soprattutto per aziende come Coca-Cola che hanno 80/100 anni di storia alle spalle, perché se ci pensiamo bene, le aziende che oggi hanno successo (Google, Facebook, Air B&B o Zara per l’abbigliamento) sono tutte aziende che hanno 10 o 20 anni massimo di mercato. Penso però anche a Microsoft, un’azienda che ha tantissima storia, ha cercato di entrare nella telefonia con Nokia, senza avere successo. I rischi nell’estendere la propria immagine sono alti, ma è necessario investire per evolvere assieme al proprio pubblico.