Processo alla comunicazione aziendale italiana
Il 20 Marzo 2007 presso l’Hotel Crowne Plaza di San Donato Milanese, si è svolta una significativa iniziativa, unica nel suo genere per il mondo della comunicazione d’impresa, del marketing, e della informazione. L’evento, ad alto carattere innovativo, consisteva nello svolgimento di un vero e proprio processo alla comunicazione d’impresa italiana, accusata, secondo i dati di un’importante ricerca di mercato svolta da QMark, di essere ripetitiva, eccessiva, e troppo invasiva. Erano dunque presenti un comitato d’accusa, uno di difesa, ed una qualificata giuria.
In apertura di dibattimento, Pasquale Diaferia, presidente Special Team, ed esponente del comitato d’accusa, ha invitato a prendere la parola Oliviero Toscani, che ha esordito con un’audace provocazione: “Visto che devo iniziare, comincerei con un commento ludico. Signori della corte, signori giurati, grazie al marketing, grazie alla comunicazione. Sono un cono di gelato, anzi ero un cono di gelato, il marketing e la comunicazione dell’azienda che mi produce mi hanno fatto diventare magnum, super ed extra. Ora, poiché il marketing e la comunicazione mi hanno dato la parola ed elevato a simbolo sessuale, appartengo anche io al mondo esclusivo della seduzione. Le bocche che mi mangiano, mi leccano e mi succhiano, hanno labbra gonfie, marmorizzate dal silicone, impastate di rossetto. […] . Un gelato normale chi lo vuole più? Le merci oramai hanno un’anima. E si propongono ai consumatori attraverso una sorta di rapporto fisico, di possesso, di godimento. […] . Sono uno dei pochi neri accettati, solo perché mordendomi scoprono che sotto la mia pelle di cioccolato sono bianco, di crema. Adesso vado bene a tutti, sono perfettamente integrato. In un mondo in cui dominano i mega, i big, i super, io in quanto maxi mi trovo a mio agio. Faccio anche io parte della presa in giro universale, della grande illusione del marketing e della pubblicità che agita davanti agli occhi dei somari, carote sempre più grandi: prendi tre paghi due, gusto lungo, colore sempre vivo, alta velocità, super sconto. Mentre il mondo del consumo è sempre più bloccato sui tassi di profitto che devono solo crescere. La sensazione che si trasmette è quella di un grande dinamismo. Le merci ci appaiono più grandi più colorate e più belle. In realtà mentre cala vistosamente la qualità, i prezzi aumentano. Una volta il gelato si comperava dalla domenica, bisognava in qualche modo meritarselo. Il maxicono non è più per i bambini, ma per un target di donne che secondo la pubblicità se la godono sempre in piscina, con i tacchi alti. Non c’è limite alla volgarità e naturalmente il maxicono è contenuto in un maxi involucro, che viene regolarmente buttato dai finestrini per maxiinquinare di maxi spazzatura il mondo. Tutto questo grazie al marketing e alla pubblicità”.
Interrogato in seguito sui nuovi mezzi di comunicazione quali ad esempio internet, Toscani ha risposto: “Sono mezzi di trasporto, la pubblicità online non è diversa dalle altre. La pubblicità è pubblicità. Piuttosto credo che la creatività italiana sia aria fritta, continuiamo a dire di essere un paese creativo ma io vorrei vedere dove, e soprattutto quando”.
La risposta della difesa è stata affidata a Lorenzo Marini, direttore creativo Lorenzo Marini & Associati: “Accusare la pubblicità e il sistema della comunicazione, di eccesso di ripetizione è come accusare un bambino che ogni sera vuole sentire sempre la stessa fiaba, e vuole esattamente quella e non vuole che Cappuccetto Rosso diventi verde. Nielsen ci dice che nella nostra mente esistono trecento marche, ed è stato molto faticoso per ogni marca prendere il proprio posto. La differenza tra un prodotto e l’altro passa quindi attraverso un valore, una marca. La pubblicità cento anni fa si ispirava all’arte e ai grandi artisti. Poi si è appoggiata alla radio per le voci e alla televisione per i registi, gli attori e le macchine da presa: dunque non ha inventato niente. Anzi fino ad oggi, ha inventato solo una cosa: la ripetizione. Per questo motivo, è molto difficile criticare la pubblicità perché ripetitiva. È giusto notare che ogni tanto ci siano degli eccessi di ripetizione, ma si nota come una stessa campagna sia percepita in modo diverso, super esposto a qualcuno e sottoesposto a qualcun altro; è dunque la media a suggerire cosa sia giusto ripetere”.
Marini ha poi aggiunto che “i risultati della ricerca qui riportata in veste d’accusa, sono ormai sorpassati. Si parlava di queste critiche già dall’800, e si pensava che la pubblicità fosse eccessiva, ripetitiva...etc. Come in tutti i processi la parte dell’accusa cerca di coprire quella della difesa. Il libero mercato, la democrazia, la poesia che circola con la pubblicità, sono tutti aspetti che cercheremo di mettere in evidenza.
Credo che il futuro di Internet sarà sempre più visivo e la parola d’ordine di questi anni sia “convergenza”: come l’I-phone è la convergenza tra telefono, musica e la rete, Internet stesso ingloberà presto la televisione. Attualmente siamo ancora nella fase di Gutenberg, ovvero della parola, e il futuro della comunicazione è quello di diventare sempre più visiva e spettacolare. La pubblicità dunque non è morta, anzi sta benissimo, esattamente come i consumatori”.
L’intero processo è stato moderato e presieduto dal presidente del Club del Marketing e della Comunicazione, Danilo Arlenghi, che ha così introdotto i temi trattati: “L’umore degli italiani rispetto alla comunicazione aziendale è facilmente riscontrabile: il consumatore è insofferente e scontento, mostra chiari segni di disagio. Questo indizio ci ha indotto a commissionare una ricerca che andasse a sondare il ‘sentiment’ vero e proprio dell’acquirente. Dai dati dell’indagine sono nati tre capi d’accusa per i quali abbiamo istituito questo ideale processo alla comunicazione aziendale: ripetitività, intrusività, eccessività. Abbiamo quindi chiesto ad alcuni rappresentati di aziende, di agenzie, e del mondo accademico di prendere parte all’accusa o alla difesa. La giuria super partes è presieduta dal professore Giorgio Floridia, presidente dell’IAP – Istituto Autodisciplina Pubblicitaria”.
Pasquale Diaferia ha poi aggiunto: “L’accusa di questo processo parte dalla ricerca svolta, che descrive la pubblicità come invasiva, eccessiva, ripetitiva; e questo è quello che pensa la gente, specialmente della pubblicità televisiva che è la vera grande accusata. La pubblicità tende poi ad utilizzare troppo i testimonial, che non sono uno strumento di creatività e sembra essersi dimenticata che negli ultimi anni siano cambiate le abitudini e i consumi. Ha dimenticato che l’accessibilità non avviene tramite il televisore ma tramite computer o telefonini. Per fortuna, esiste una pubblicità buona che va salvata, e bisogna ricordare che la pubblicità non è solo televisione, perché negli altri paesi ad esempio sta assumendo sempre più forme espressive e culturali. Domani cambierà anche il modo di fruire della pubblicità. Oggi il consumatore decide il palinsesto, si scarica trasmissioni radio/televisive sull’I-pod, passa le sue serate giocando online su Second Life. È in questo senso che bisogna lavorare. Internet è già una soluzione, e da dieci anni la pubblicità sembra essersene dimenticata. Il 30% delle famiglie italiane è connesso a banda larga quindi credo che sia sciocco rimanere bloccati ad un formato che si chiama “spot”, poco interattivo, poco interessante. Probabilmente le aziende hanno paura, forse sono state guidate nella maniera sbagliata dalle agenzie pubblicitarie, o forse sono poco giovani, specialmente in alto dove si decide, nei reparti marketing. Speriamo insomma che le cose cambino presto”.
Dopo accesi e provocatori interventi difensivi e accusatori, la giuria di esperti ha quindi deliberato all’unanimità una condanna per la comunicazione aziendale, dal sapore ironico: “un anno di lavori creativi forzati.”