Eleonora De Bernardi
Emotional Branding: i cinque sensi
Oggi la sfida per il brand è provocare emozioni in ognuno di noi con un coinvolgimento a 360 gradi
Eleonora De Bernardi
Copywriter e Creative producer Target Produzioni Video
Quanto è importante valorizzare le nostre sensibilità per essere ricordati? Come sviluppare il sesto senso, la scintilla che accende le passioni e attira gli interessi in comunicazione? Il fattore umano in comunicazione dove può portarci?
Il termine Emotional Branding sembra una parola nuova per dire una cosa vecchia. La pubblicità da sempre ha coinvolto le emozioni per vendere i propri prodotti. Anche lo spot più tradizionale e verticale cerca di attrarre il pubblico con una sensazione, un’idea aspirazionale del brand, un’appartenenza emotiva e identitaria.
Se si analizza la strategia di advertising di qualsiasi marchio storico, si vede fin da subito che per attrarre il pubblico bisognava incantarlo facendogli vedere, vivere e sperimentare un mondo di sensazioni e valori positivi legati al brand. Insomma, la pubblicità è sempre stata emozionale, altrimenti sarebbe informazione di servizio.
Cosa è allora cambiato negli ultimi anni? In cosa il termine Emotional Branding ci dice qualcosa di davvero nuovo? Ecco, nella mia esperienza di creative producer e copywriter, quali sono gli elementi innovativi dell’advertising contemporaneo:
1.Emotional Branding = prendere posizione
Più l’identità del marchio è netta, più ci sarà coinvolgimento, condivisione e adesione del pubblico. A differenza del passato, adesso un marchio è chiamato a prendere posizione più nette, anche su temi un tempo tabù per la pubblicità, come i temi sociali o politici. In un mondo in cui anche le scelte quotidiane diventano identitarie ed espressione di sentimenti (Selfie con pastasciutta o sushi, ciabatte o scarpe alte?), ogni marchio ha bisogno di dichiararsi anche su temi scomodi (gay o famiglia tradizionale? mondo multiculturale o no? Trump o #metoo?). Lo storytelling deve essere coraggioso: si perdono alcuni potenziali fan, ma quelli che restano saranno fedelissimi. E pronti a condividere qualsiasi cosa.
Alcuni esempi:
Fiat con Martin Luther King
https://www.youtube.com/watch?v=SlbY1tGARUA
Corona anti Trump
https://www.youtube.com/watch?v=X1VpXMpRXp8
2.Emotional branding = essere (o apparire) uno di noi
La parola chiave è Inbound Marketing, ossia la diffusione del messaggio pubblicitario/brandizzato attraverso il web e i social media, grazie ad una condivisione orizzontale. Anche l’influencer più vip di fatto mostra il suo lato amichevole e convincente, fa di tutto per apparire “uno di noi”: il linguaggio dunque del brand stesso deve uniformarsi a questa convenzione ed essere almeno apparentemente, alla mano e ironico, insomma umano. Anche marchi di lusso, come quelli di moda o di auto, scendono dall’altare e parlano in maniera meno conformista e meno snob.
Alcuni esempi:
Spike Jonze per Kenzo
https://www.youtube.com/watch?v=ABz2m0olmPg
Nike sceglie gli atleti di tutti i giorni
https://www.youtube.com/watch?v=26qmJzTCRG4
3.Emotional branding = Emozioni vere, le tue
Un’audience completamente bombardata dai messaggi pubblicitari, su ogni media, in ogni luogo e in ogni momento, è meno ingenua, non si commuove facilmente, conosce gli effetti speciali. Per arrivare al cuore di un pubblico smaliziato servono allora emozioni autentiche. Spesso dunque il testimonial perfetto è la gente comune. Oppure, se è un vip, deve mostrare la sua parte più vera. Esempio di questa strategia sono i video-esperimenti sociali, che spopolano sui social, me che sono diventi lo spunto per spot intelligenti.
Esempio: Amnesty International, Look beyond borders (esperimento sociale: guardare negli occhi un rifugiato) https://www.youtube.com/watch?v=f7XhrXUoD6U
4. Emotional branding = tecnologia, se serve. Altrimenti anche no.
Fare pubblicità oggi è dunque solo più difficile, perché è più difficile emozionare? In parte è vero. Ma per fortuna c’è la tecnologia che avanza, crea esperienze nuove, offre sensazioni forti. Dalla realtà virtuale al marketing olfattivo, i creativi hanno nuovi strumenti per stupire. Attenzione però: la tecnologia può essere un falso amico. L’effetto wow dura poco se il contenuto non è all’altezza. La visita in realtà virtuale del museo ad esempio non regge molto. O posso entrare nel quadro e parlare con l’artista defunto, o meglio il cartellone pubblicitario.
Insomma, la comunicazione dei brand cambia perché il pubblico è cambiato. Ma emozionare è sempre stato un obiettivo della pubblicità. Obiettivo vincente, perché l’emozione è il veicolo più potente per trasmettere un messaggio.