Andrea Gastaldon
Il viaggio del Messaggio: Dal brief in poi il messaggio vive diversi processi creativi che fanno in modo che una volta arrivato a destinazione, il viaggio non si fermi...
Andrea Gastaldon
Content Strategist, Influencer Marketing e Digital PR
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Quale metodo deve perseguire il professionista per sviluppare un contenuto di valore che arrivi al destinatario del messaggio e che da lì riparta per prendere nuova vita?
Umberto Eco insegnava che il senso di un oggetto di comunicazione dipende tanto dal modo in cui lo costruisce il suo autore quanto dalle libere interpretazioni dei suoi fruitori e dal processo dialettico che si attiva fra il messaggio e i suoi destinatari. Credo che web e social media siano una dimostrazione concreta di queste idee.
La metafora del viaggio del messaggio è assolutamente in linea con la semiotica interpretativa, ma soprattutto con un approccio volto alla produzione di contenuti molto aperti, basati su un’idea riconoscibile, pronti per essere riutilizzati o personalizzati dagli utenti. E solo dopo specifiche analisi di target, settore, competitor e dello storico/identità del cliente (sia esso brand, azienda, artista o pubblica amministrazione) possiamo individuare i destinatari.
Il contenuto va ideato puntando occhi e orecchie sul target di riferimento, senza dimenticare che se ci vogliamo allargare anche ai target secondari o contigui dobbiamo creare qualcosa di per sé interessante… che abbia un potenziale comunicativo, ironico, informativo o emozionale.
Per questo, quando prendo un brief, penso a questi obiettivi, in quest’ordine: target primario, pubblico mainstream, target secondari ed extrasettore. Poi penso a un concept e a come declinarlo sui canali che voglio usare per diffondere il messaggio, alla strategia e al piano editoriale integrando media online e offline. Content e digital pr sono attività complementari: il mio contenuto sarà più efficace - e pubblicabile - se ho già in mente spazi e utenti a cui lo voglio diffondere.
In genere preferisco gruppi di lavoro molto ristretti e una visione d’insieme del progetto. Personalmente seguo le diverse fasi che vanno dall’ideazione e realizzazione testuale del contenuto alla sua diffusione, pubblicazione o valorizzazione attraverso il coinvolgimento di influencer o iniziative di user generated content. Le forme di contenuto più interessanti che si stanno sviluppando nel digitale sono proprio quelle partecipate, prosumer o di interazione. In questi casi gli utenti che personalizzano un claim, che utilizzano l’hashtag unbranded che hai lanciato per la call to action e magari taggano anche gli amici, sono la realizzazione visibile, e un po’ pop, del testo semiotico che non appartiene al suo “firmatario” bensì prefigura molteplici autori. A volte il content strategist fa semplicemente il ghost writer per gli utenti, offre una traccia per lo storytelling, condivisibile e facile da riempire.
Il metodo per me è un fatto di scrittura e organizzazione delle relazioni, in un certo senso i due estremi del processo che traduce l’idea in un messaggio comunicabile, targettizzato su un destinatario che Eco chiamerebbe modello e che per noi è semplicemente funzionale o qualificato (a ricevere il nostro messaggio, ad interpretarlo attivamente, a farlo suo e riproporlo - la famosa viralità - e infine… a comprare il prodotto!).
Oggi in quale misura siamo disposti a seguire il content marketing di marca? I social favorendo la condivisione sono il canale ideale per ingaggiare l’utente?
Direi proprio di sì. Se trasmissioni come X Factor dedicano intere scenografie all’hashtag #XF9 o fanno lo spot di lancio del serale con Cattelan che racconta tutti i social sui quali si può commentare la puntata, è evidente che c’è ormai una consapevolezza, che a volte sembra quasi soggezione, degli altri media nei confronti dei social. Instagram, facebook, snapchat, twitter eccetera sono, ad esempio, delle efficacissime piattaforme di conversione al website aziendale, proprio grazie a strategie che partendo dal contenuto puntano ad ingaggiare e fidelizzare gli utenti in target.
Il vantaggio ulteriore è che gli utenti per primi sono in un certo senso fidelizzati ai propri stream social, proprio perché composti dalle loro preferenze, interessi e conversazioni. Una volta l’assunto era “tutti guardano la TV”; adesso direi piuttosto che “tutti sono su Facebook”: dare un’occhiata alle ultime notizie dal newsfeed di FB o agli stream tematici su Instagram è più facile che accendere la tv, hai tutto in tasca su mobile, in qualsiasi momento.
Il content marketing, associando al brand una voce editoriale e temi non prettamente “di prodotto”, è una leva essenziale per attirare l’attenzione dei consumatori, sui social media come per tutto il panorama offsite (blog, portali). È inoltre il territorio ideale per fare attività ad alto roi come l’influencer marketing, sempre che con influencer non si intenda product placement. Il problema è che in Italia si pensa che il content marketing sia una novità e ci troviamo spesso a spiegare ai clienti cos’è e perché funziona, ma di fatto esiste da… secoli!
A fine ‘800 il produttore John Deere avviò la pubblicazione di un magazine per promuovere i temi agricoli e indirettamente le sue macchine agricole… a fine ‘900 mi vengono in mente le editorialissime guide turistiche Peugeot… due esempi pre-internet fra i tanti. Mentre oggi, in USA, i pubblicitari non parlano neanche più di content ma direttamente di entertainment: se guardiamo alla comunicazione di brand come Red Bull o The North Face, capiamo perché questi contenuti funzionano. Finché c’è qualità c’è anche un pubblico, e parlo di qualità nella comunicazione, non per forza nel prodotto. Quando compriamo qualcosa lo facciamo per bisogno, o perché ci piace, ma anche per affinità… empatia è una parola troppo forte, ma può rendere l’idea.
Quali sono gli errori da non commettere in comunicazione?
Di errori se ne commettono sempre di nuovi. Se mi chiedi un decalogo, mi viene in mente che “non comunicare invano” sarebbe già una bella sintesi, ma un decalogo è immutabile, preferisco saltare dal sacro al profano e proporre un mix di errori macro, casi specifici dell’ultimo periodo ed erronee convinzioni di settore.
1) Non avere ben chiari gli obiettivi di un progetto di comunicazione - Cosa vogliamo dire? A chi? Perché?
2) Non diversificare contenuti e linee editoriali.
3) Essere autoreferenziali.
4) Non inserire nel messaggio riferimenti all’attualità.
5) Proporre sempre lo stesso servizio, attività, soluzioni - Ogni progetto ha bisogno di una comunicazione ad hoc
6) Sbagliare registro/tone of voice - Un esempio recente è l’infelice battuta di Maria Sharapova sul tappeto demodé della sala stampa in cui aveva appena confessato l’uso di doping: il tentativo di sembrare simpatica - forzato, se non addirittura pianificato dallo staff della tennista - smentisce la patemizzazione dell’atleta pentita costruita nella stessa conferenza stampa.
7) Non tematizzare – Una forte connotazione può rendere il messaggio più persuasivo. Prendiamo un esempio di comunicazione politica come il messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica: tematizzare il discorso scegliendo di spingere uno in particolare fra i topic trattati (ad esempio un tema comune a tutti sul quale sarebbe più semplice sensibilizzare, come l’acqua e il risparmio energetico) aumenta le probabilità di promuovere un effettivo behaviour change in parte della popolazione, rispetto ad uno speech che tocca genericamente tutte le problematiche di attualità.
8) Pensare che lo storytelling si riduca al racconto della storia dell’azienda, col bisnonno fondatore nel lontano ‘800 eccetera...
9) Utilizzare # lunghissimi (non sono funzionali) e usarne troppi (Instagram escluso).
10) Farsi sovradeterminare dal canale - In generale meglio partire dal contenuto e selezionare i canali più adatti a veicolarlo, non viceversa.
11) Dimenticare che ogni azione, specialmente sul web, ha delle tempistiche preferenziali e un timing specifico.
12) Dimenticare che ogni narrazione ha un suo ciclo vitale legato all’attualità, come per il newsjacking e le stagionalità del marketing.
13) Dimenticare che stream social e newsfeed vari ci propongono le cose che abbiamo selezionato come nostre preferenze (per cui non esiste UN palinsesto di Facebook, come fosse un’emittente, ma ogni newsfeed è diverso dall’altro e così anche i contenuti a cui siamo esposti e i trend che vogliamo individuare).