Vicky Gitto
Il viaggio del Messaggio: Dal brief in poi il messaggio vive diversi processi creativi che fanno in modo che una volta arrivato a destinazione, il viaggio non si fermi...
Vicky Gitto
Chairman & Chief Creative Officer Y&R Italia/VML
La comunicazione oggi va intesa come un journey, un percorso organico all’interno del quale il consumatore si muove attraversando tutti i touch point di marca. Ma come in ogni viaggio il primo passo è sempre il più importante e nel nostro caso non è ancora l’idea creativa, ma il brief stesso.
Per questo crediamo che per un’agenzia come la nostra, che ha la fortuna di lavorare con grandi brand, il dialogo costante e quotidiano tra agenzia e cliente sia la base per comprendere davvero le sue necessità e poter creare i progetti di comunicazione articolati e coerenti di cui oggi il mercato ha bisogno.
Quale metodo deve perseguire il professionista per sviluppare un contenuto di valore che arrivi al destinatario del messaggio e che da lì riparta per prendere nuova vita?
Il nostro non è mai stato un mondo fatto di regole o schemi che si possono applicare ad ogni situazione, e oggi, con l’attuale frammentazione dei touch point, lo è ancora meno.
La risposta sta nella qualità delle persone che compongono l’agenzia e nella visione di coloro che le guidano.
Quello che possiamo dire con certezza è che oggi, nell’immaginare un’architettura di comunicazione non possiamo più partire da una singola esecuzione e, declinandola sui tutti media, sperare che questo vada a comporre una mosaico interessante per il consumatore.
Idea e percorso oggi devono avere la stessa matrice, la stessa intenzione, e questo impone che tutti in agenzia vivano l’aggiornamento personale come un requisito fondamentale per poter fare il proprio lavoro.
Detto questo una buona idea può nascere in qualunque modo e in qualunque momento, non si può ridurre il processo creativo ad uno schema operativo.
Oggi in quale misura siamo disposti a seguire il content marketing di marca? I social favorendo la condivisione sono il canale ideale per ingaggiare l’utente?
La natura stessa dei social media li rende la piattaforma ideale per lavorare sull’interazione tra marca e persone. Quello che dobbiamo domandarci è cosa vogliamo ottenere da queste interazioni.
Una particolarità di questi strumenti è di aver reso pubblici buona parte dei risultati che i contenuti generano: retweet, like, commenti, condivisioni, views ecc. Questo ha portato ad una frenesia del KPI, del numero, del risultato immediato, portando a volte a dimenticare per quale ragione stiamo comunicando.
“Content marketing” non significa che far performare al massimo un post pubblicato su Facebook sia diventato il nostro fine ultimo. Il nostro lavoro, qualunque sia la piattaforma sulla quale vengono pubblicate le nostre creatività, rimane quello di aiutare il cliente a raggiungere i propri obiettivi di brand.
Quali sono gli errori da non commettere in comunicazione?
Ci sono errori molto eclatanti che ancora oggi vengono fatti quotidianamente e sono dovuti in gran parte ad un’errata comprensione delle dinamiche con cui le persone si relazionano sui social media. La questione centrale non è solo che sui social gli utenti possono interagire, ma che lo fanno sentendosi a casa propria, con tutto il diritto di poterlo fare come e quando vogliono.
Ma proprio per questa ragione, il vero errore in cui si rischia di incappare è quando non si comprende la natura dello strumento che si sta utilizzando da un punto di vista pubblicitario.
Facendo l’esempio di Facebook, è quando questo viene utilizzato solo come piattaforma display ultra targettizzante, ovvero ragionando solo ad impression e utilizzando i post alla pari dei banner.
Certo la piattaforma lo permette, e permette anche di targettizzare l’esposizione del consumatore al messaggio probabilmente meglio di qualunque sistema oggi esistente, ma la domanda che dovremmo porci è: ma la gente va su Facebook per guardare post di prodotto?
Quando un utente sta leggendo un quotidiano online è pienamente consapevole di trovarsi “a casa” dell’editore e, forte anche dell’analoga esperienza che vive con i cartacei, accetta la presenza delle pubblicità che, se ben fatta, attira la sua attenzione.
Ma sui social le persone si sentono a casa propria, percepiscono quello spazio come privato, uno spazio, unico al mondo, dove convivono sotto la stessa forma i loro affetti più stretti i e brand.
Quindi quello che dovremmo domandarci non è solo quanti vedranno il messaggio, ma se non rischiamo che venga interpretato come invasivo, molto più di come possa accadere su qualunque altro media.
Il vero epic fail non è ricevere un commento spiacevole da un utente nervoso o in cerca di attenzioni, ma sostenere con sforzi produttivi ed economici una strategia creativa che rischia di non portare valore aggiunto al brand.