Alessandro Cirinei
Il viaggio del Messaggio: Dal brief in poi il messaggio vive diversi processi creativi che fanno in modo che una volta arrivato a destinazione, il viaggio non si fermi...
Alessandro Cirinei
serial start-upper ed Amministratore Delegato di Xool srl, business incubator e web agency specializzata in strategie di comunicazione digitale con sedi a Livorno e Milano.
Quale metodo deve perseguire il professionista per sviluppare un contenuto di valore che arrivi al destinatario del messaggio e che da lì riparta per prendere nuova vita?
Per quanto ci riguarda la “mission” è molto chiara: “fare in modo che il lettore possa in primo luogo percepire chiaramente i valori espressi da una marca identificando immediatamente i propri bisogni inconsci che possono essere soddisfatti dalla fruizione di tale marca. La comunicazione deve quindi colpire il bisogno recondito dell’interlocutore con l’intento di sollecitare sensazioni positive, portandolo se possibile ad interagire con il brand e quindi a diventare un potenziale consumatore e successivamente un testimonial”. Per ciò che concerne il metodo, crediamo che non esista uno standard. A nostro avviso è importante fare “mirroring” con chi un brand lo può raccontare a tutto tondo. A volte è necessario fare decine di domande precise, a volte è sufficiente lasciar parlare il cliente a ruota libera.
Sicuramente è importante toccare il prodotto, comprendere la storia che ha portato allo sviluppo del prodotto, la tecnologia, le risorse umane e tutto ciò che ha contribuito e creare valore.
Tutto sta nella sensibilità e nella capacità del professionista di sintetizzare un racconto e fonderlo in un emozione fatta di testo, di immagini e anche di video.
C’è un solo modo per far si che tale emozione prenda vita e quindi diventi efficace: conoscere a fondo il destinatario.
L’analisi dell’audience è parte integrante di questo processo. Non solo profilare accuratamente il target ma analizzare i suoi interessi, i suoi bisogni e persino i suoi sogni.
Tutto questo ci permette di fare in modo che l’emozione che creiamo sia allineata con il destinatario, che venga facilmente metabolizzata e che esprima quello che il target vuole sentirsi dire dalla marca.
Oggi in quale misura siamo disposti a seguire il content marketing di marca? I social favorendo la condivisione sono il canale ideale per ingaggiare l’utente?
Prima di tutto è necessario sottolineare che l’efficacia dell’advertising che potremo definire interruttivo è in netto calo. Non ci sono le minacce di plugin come i temutissimi “ad blocker”, ormai lanciati anche dagli stessi operatori telefonici (es: H3G) o da produttori come Apple e Samsung. La pubblicità display è diventata eccessivamente invasiva, il programmatic advertising permette a chiunque di acquistare impressions in target sottovalutando però la qualità dei banner e delle creatività. Google stessa, per limitare l’impatto negativo sulla user experience ha ridotto il numero dei risultati delle ricerche a pagamento eliminando gli ads laterali.
L’utente necessita di poter fruire del web senza essere bombardato e l’inserzionista deve forzatamente trovare una forma promozionale che non vada in conflitto con la user experience, altrimenti sarà il caos!
Ecco che il content marketing e lo storytelling diventano un canale estremamente efficace ed è assolutamente necessario avere content strategist nell’organico di un agenzia di comunicazione.
Il content marketing significa narrare un brand rendendolo protagonista della storia. Far assaggiare una bevanda attraverso testi ed immagini, far sentire un profumo attraverso un video, far viaggiare in una certa destinazione illustrando un’esperienza o spiegare un concetto utilizzando delle infografiche.
Il content marketing deve essere centrale in una strategia di comunicazione e necessita di competenze importanti che vanno dal neuromarketing alla semantica, dalla capacità di gestione di una community alla scrittura creativa.
Quali sono gli errori da non commettere in comunicazione?
Ovviamente per poter stilare una lista di errori credibile e necessario averne commessi. In comunicazione, come in altri ambiti, è validissimo il vecchio detto “sbagliando s’impara”.
1) Non testare una qualsiasi forma di comunicazione in modo adeguato con il target con cui ci si propone di dialogare.
2) Non fare una meticolosa attività di “benchmarking” con i competitor
3) Dare per scontata l’associazione delle immagini a dei testi
4) Non verificare che la tua comunicazione non sia già stata adottata da altri, anche in mercati diversi.
5) Non declinare in modo preciso la propria comunicazione a seconda del canale media che si utilizza.
6) Non puntare mai sul motto “purché se ne parli” se prima non si sono valutate le controindicazioni e gli effetti collaterali.
7) Non valutare in modo approfondito gli elementi di una comunicazione che potrebbero indispettire o addirittura offendere qualche gruppo di persone.
8) Non ostinarsi a rompere gli schemi o tagliare con il passato in modo troppo brutale.
9) Essere prolissi, non sintetizzare
10) Trascurare le reazioni, lasciare una community abbandonata dopo averla creata con un operazione di comunicazione.
Un caso eclatante recente è senza dubbio stato quello commesso dalla Melegatti con il suo Pandoro sponsorizzato da Valerio Scanu. Un esempio in cui sono stati diversi errori elencati nel sopra citato decalogo. Abbandonare i colori celeste e oro che contraddistinguevano l’azienda che ha inventato il Pandoro (8) e corredare il packaging con un enorme immagine di Valerio Scanu dopo che per anni il brand era stato associato ad un personaggio inequivocabilmente rassicurante e di tutt’altro spessore come Franca Valeri (1). Condurre una strategia di social media marketing aggressiva e lontana dall’atmosfera natalizia (6) utilizzando frasi e immagini di cattivo gusto che hanno causato all’azienda accuse di omofobia (7). Scusarsi tardivamente con i propri “followers” (10) con un commento di supporto scritto dal Direttore Marketing dell’azienda in persona (5), subito “sgamato”. Un vero disastro.
Come caso borderline citerei il “finto” lancio della Ceres Soft Ale. Una fantomatica birra al femminile promossa con un minisito rosa e propagata con un video provocante in cui si mostrano delle belle ragazze in posa che sorseggiano la bevanda a bassa gradazione alcolica.
Un tentativo di far parlare del brand attraverso una sorta di bufala pianificata, peraltro con slogan poco azzeccati, che ha avuto effetti decisamente negativi. Le reazioni dei consumatori sono infatti state aggressive, quasi offensive nei confronti dell’azienda che ha erroneamente deciso di non moderarle.
Sicuramente è un caso di successo dal punto di vista della “reach” dell’audience ma “borderline” nei risultati e nelle performance.