Lorenzo Marini Titolare e Direttore Creativo Lorenzo Marini & Associati
Le Interviste Mediastars XII Edizione
Lorenzo Marini – Direttore Creativo Lorenzo Marini & Associati
Qual è la caratteristica della comunicazione italiana che non ci favorisce nelle competizioni internazionali?
L’estero non premia l’Italia, perché siamo troppo prodottocentrici. Negli ultimi anni abbiamo potuto vedere che chi vince a Cannes, ad esempio, mostra il prodotto solo alla fine dello spot, e quasi sempre il percorso è ampio, indiretto, a volte sembra che si parli di altro. Noi invece ci preoccupiamo solo che si veda il prodotto, prodotto e prodotto. L’eccesso di mercificazione uccide la merce. Secondo me ci vuole più coraggio: ora siamo tutti troppo pallidi e lottiamo solo per la sopravvivenza, come se nuotassimo per restare a galla, invece di nuotare per godere della bellezza del mare. Armando Testa con il suo lavoro artistico e artigianale faceva davvero delle sperimentazioni mentre ora invece non si sperimenta più. Ad esempio quando ero in Canard, uno spot sul set è decollato grazie a una battuta fortuita di Catherine Deneuve, che disse senza un motivo: “Oui, Je suis Catherine Deneuve”. Nacque tutto da una battuta senza script o riunioni o approvazioni. La creatività ha bisogno della freschezza improvvisata.
La sua agenzia ha compiuto da poco dieci anni di attività, come sta vivendo questo momento?
Abbiamo compiuto dieci anni e dato il benvenuto a numerosi nuovi clienti, e questo non può che renderci felici. Nel 2007, Campaign, celebre magazine londinese di settore, ha dedicato un supplemento alle agenzie indipendenti creative nel mondo, prendendone una in rappresentanza di ogni per paese, e per l’Italia hanno scelto la nostra. Questo sta a significare che in Italia siamo osservati e a volte apprezzati. Inoltre siamo da poco stati nominati agenzia dell’anno da NC Awards. Tutto questo significa quanto sia importante mantenere un tipo di posizionamento unico. Troppo spesso le multinazionali oltre a fondersi tra loro rischiano anche di confondersi. Noi riusciamo ancora a distinguerci in questo settore mantenendo le idee chiare. D’altra parte le agenzie pubblicitarie più importanti sono state fondate negli anni sessanta da creativi come David Ogilvy e Leo Burnett, non certo da maestri dell’economia. Successivamente, negli anni ottanta, i nomi delle agenzie sono diventate delle sigle, le agenzie fondate da soci, creativi e account, associati. Mentre adesso è tutto in mano al mondo della finanza. Nel senso che pochi possono ancora vantare una direzione creativa a capo dell’agenzia. Personalmente credo che questo rimanga un concetto molto importante, infatti troverei assurdo che un ristorante non venisse aperto da uno chef ma da un cassiere.
Come il mercato ha dato ragione alle sue scelte e alla personalità trasmessa alla sua struttura?
L’agenzia che porta il mio nome è nata per occupare un posizionamento libero, indipendente; è stata aperta e gestita sempre da un creativo. Credo che per noi sia importante mantenere questo positioning, che è solo il primo passo per una vera comunicazione di livello. Infatti se creiamo personalità di marca per noi, possiamo poi sperare di riuscirci anche per i nostri clienti. Dobbiamo adoperarci anche per conquistare la loro fedeltà. Uno dei problemi delle agenzie è che un quarto dei clienti totali a fine anno cambia interlocutore, un turnover troppo elevato. La fedeltà non va più di moda. Una volta non era così. Armando Testa conservava clienti per decenni. In questo modo la personalità della marca rimane. Va anche sottolineato però che oltre all’infedeltà dilagante esistono ancora esempi di fedeltà: conserviamo il rapporto con parecchi clienti storici che ci seguono fedelmente come Ferretti, Tre Marie, F.lli Carli, Faac. Infine ci sono state alcune esperienze one shot che hanno lasciato il segno. Ricordo ad esempio la campagna realizzata per il Ministero della Sanità per la prevenzione dell’Aids. In definitiva seguiamo anche noi gli alti e bassi del mercato, purtroppo a volte il declino della marca segna anche il declino dell’advertising.
Come affrontate le nuove sfide della comunicazione non convenzionale?
Dieci anni fa si lavorava più sui media tradizionali, con messaggi spalmati su ogni mezzo senza particolari accorgimenti né attenzione nell’adattamento al mezzo utilizzato. Oggi invece posso dire che è cambiato lo scenario, grazie ad una maggiore frammentazione mediatica e alla rinnovata reattività del consumatore. L’agenzia di pubblicità non può più fare solo una comunicazione telecentrica, ma studia le strategie necessarie per creare messaggi specifici per ogni mezzo a sua disposizione.
Questo ci ha stimolati, portandoci a modificare l’assetto interno dell’agenzia, associandoci ad altre strutture. Attualmente la Lorenzo Marini Group è la holding che controlla l’85% dell’agenzia di advertising e il 50% di altre realtà tra le quali Tailormedia per il media buying, Menabò per il below the line, Harvest per le relazioni pubbliche e EMME3W per il web. In questo modo abbiamo ottenuto una squadra di ottanta persone, e un gruppo che fattura otto milioni di euro. Questo significa che la sartorialità paga, siamo artigiani nell’approccio e nella filosofia, e come gruppo siamo ormai una realtà importante. Non perché vada di moda, ma perché il mercato, con le sue esigenze in continua evoluzione, lo richiede. Stiamo cercando di allargare i nostro orizzonti, autocostringendoci a riprogrammare le nostre risorse continuamente. In fondo siamo entrati nell’era della comunicazione liquida.