Lorenzo Marini
Convegno del Decennale di Mediastars
Lorenzo Marini Direttorei Creativo e Amministratore delegato dell’agenzia Lorenzo Marini & Associati.
Il tema di oggi è la creatività e l’insegnamento, cioè un ossimoro, visto che apparentemente parliamo di due aspetti incompatibili. La creatività infatti non si può insegnare. E’ come il buon gusto, l’armonia, l’equilibrio: ci nasci che li hai già dentro. Invece, e questo è molto bello, la creatività si può imparare. Eccome. Sono necessarie due cose fondamentali per diventare creativi: la curiosità e un maestro. Un creativo è e deve essere una persona curiosa. Instancabile, insaziabile, quasi irrequieto. Deve porsi sempre domande su tutto, deve percepire l’iceberg non per quello che si vede ma per quello che è. Che la visione è perfetta solo se è completa.
Dicevamo inoltre che è necessario anche un maestro, che oggi sono le scuole. Ce ne sono molte e alcune di queste molto valide. Ma non sono maestri perfetti, che la creatività ha un campo d’azione molto ampio e le zone pericolose sono molto frequenti. Ad un creativo servono ferri del mestiere affilati perché l’applicazione professionale della creatività è diversa da quella della fantasia, più intuitiva e libera. Ed è per questo che in un lavoro fortemente individuale c’è bisogno di un maestro/persona anziché un insegnante/scuola. E’ un po’ come nei ristoranti: lo chef insegna attraverso la pratica pura ed ha un rapporto individuale con ognuno dei suoi cuochi, dal tagliatore di pesci al pasticcere.
Qualcuno oggi lamenta l’assenza di bravi maestri. Forse è vero, ma vi assicuro che trovare buoni allievi è altrettanto difficile. Siamo entrati a pieno titolo nel regno del tutto-e-subito, dell’impazienza, del successo facile, del guadagno immediato. Invece, per avere buoni frutti occorre essere anche molto pazienti.
Un’altra parola poco amata nel mondo occidentale è: disciplina. In India non è associata al negativo come da noi, ma alla positiva applicazione di regole che diventano naturalmente buone abitudini. La nostra cultura post romantica ci fa preferire al contrario una visione del creativo tutto genio e sregolatezza, dimenticando che i grandi del nostro settore hanno applicato – si pensi ad Ogilvy – regole e metodo.
Un’ultima parola chiave per il successo di un creativo è: determinazione. Un carattere artistico è portato ad essere intuitivo, ad avere grandi slanci e grandi abbandoni, rinunciando così ad un atteggiamento volitivo e costante.
La ripetizione è l’unica cosa inventata dalla pubblicità, ed è una condizione di successo come lo è la fedeltà per l’amore. Senza una grande forza d’animo quell’idea non sarà proprio come l’avevamo pensata, o il cliente porterà modifiche, o qualche account dirà che non passerà mai, o qualche producer dirà che costa troppo.
Ed Mc Cabe, uno dei più grandi creativi americani degli anni ’80, diceva: “Una delle cose più frequenti che si sente ripetere chi entra in pubblicità è: -Questo non si può fare. A questo io rispondo: -Lo so che non si può fare, ma io lo farò lo stesso”. Non è un esempio di grande determinazione?Quando, assieme al mio copywriter di allora Roberto Gorla, presentammo “Silenzio, parla Agnesi” nemmeno il direttore creativo ci credeva e sembrava che l’idea non piacesse a nessuno.Ci siamo battuti come due leoni contro tutti e contro tutto e abbiamo vinto tutti i più importanti premi internazionali. Leone compreso.
Sri Yogananda, il grande maestro indiano soleva dire: “Un santo è un peccatore che non si è arreso mai”. In un film degli anni sessanta, Sinoe l’Egiziano, il protagonista chiede al faraone: -Secondo te, io sono pazzo? Il faraone gli risponde: -Si, tu sei pazzo. Ma la tua pazzia è più bella della saggezza degli altri.
Noi facciamo un lavoro che oggi sembra aver perduto di interesse, come se la creatività fosse facoltativa perché, usando una metafora, ci sono degli anelli che stanno bene anche senza diamanti: i diamanti sono le idee e l’anello è il servizio, tutto ragionamento e tutto calcolo. Ci siamo dimenticati invece che le idee producono soldi, mentre i soldi non producono idee, e che fino a quando esisterà un prodotto ci sarà sempre bisogno di un creativo che lo racconti, che lo renda desiderabile, più affascinante dei sogni, più divertente della vita, più magica della primavera.
Il punto è che la creatività non è una qualità esclusiva di Art Direttore e CopyWriters, la creatività non è un messaggio, non è uno spot: non è più un trenta secondi, non è più un manifesto, non è più un messaggio radiofonico: la creatività è un modo di vivere. E la creatività è anche trasformare le idee in denaro; come diceva Paperon De Paperoni: “L’oro non è tutto, c’è anche il platino”.
Gli imprenditori creativi sono imprenditori che stanno semplicemente coniugando fantasia e razionalità. Ogni giorno che Michele Ferrero scende dal letto e guadagna un milione di euro per tutto quello che ha fatto: ha inventato prodotti che non esistevano. La creatività è un modo di vedere le cose, e dunque più accendiamo i fari del nostro sguardo più la strada sarà chiara, più alziamo le antenne della nostra ricettività più impariamo a sentire. A noi, che siamo e rimaniamo dei piccoli artigiani, non importa se il mondo si sta orientando verso il pret a portèr, all’origine di ogni cosa c’è un concetto, c’è un’idea, c’è disegno e comunicazione.
Autocondanniamoci a fare i sarti dell’Idea System. Consideriamo un privilegio fare il nostro lavoro, non importa se ci sono poche persone, poche aziende, poche marche che sono disposte a mettersi in discussione. Certe volte certi clienti ci chiedono strade nuove, ma ben collaudate. E’ successo anche di recente: una marca di tonno molto nota, mi ha chiamato dicendo che intendevano lasciare la loro agenzia perchè non intendevano pagare tutta una serie di servizi di cui non usufruivano, e dunque volevano avere solo uno spot idea. Facciamo veder loro lo show-reel e le diverse campagne da noi prodotte. E alla fine della presentazione ci dicono: “Molto bello, ma voi fate quello che vi chiediamo?” Rispondo che tutto quello che avevano potuto vedere l’avevamo fatto con delle aziende. Insistono: “Si, ma poi se vi chiediamo di fare delle modifiche, le fate?” Rispondo: “Si, se il processo è dialettico, se invece vuole un esecutore chiami una multinazionale”. Infatti, l’hanno fatto.
Come dice Sèguèla: “Noi siamo i soldati dell’immaginario. Non ci arruoleremo mai nell’esercito dell’abitudinarietà”.
La solitudine, a volte, è il prezzo della grandezza.