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Luca Albanese e Francesco Taddeucci
Direttori Creativi Saatchi & Saatchi

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Luca Albanese e Francesco Taddeucci - Direttori Creativi Saatchi & Saatchi

Una fotografia della pubblicità oggi...

La pubblicità si sta sempre più avvicinando allo spettacolo. La componente più marcatamente “informativa” sta lasciando il passo alla parte più divertente e spettacolare. Anche grazie alle capacità tecnologiche di cui possiamo disporre oggi, gran parte degli spot che ricordiamo più volentieri cercano di stupirci e sorprenderci con effetti speciali (al contrario di quanto recitava una famosa pubblicità degli anni ’80), e il risultato è avere degli spettatori sempre più interessati e divertiti dalla pubblicità, e quindi più coinvolti dai prodotti pubblicizzati. Qualcosa di simile era avvenuto già negli anni del Carosello, dove storielle senza alcun legame con il prodotto riuscivano a tenere inchiodati al video milioni di persone. Oggi questo legame è più forte, ma al tempo stesso anche estremamente sottile.

E, in particolare, per quanto riguarda la comunicazione istituzionale?

Nel nostro settore (quello delle campagne istituzionali) non molto è cambiato: si tende ad avere ancora un tono molto “alto”, importante, a volte forse un po’ troppo noioso e autocelebrativo. Ma il pubblico apprezza di più il parlar chiaro, al limite anche l’autoironia. Celebrarsi quindi attraverso nuove tecniche e nuovi linguaggi, un po’ meno formali che in passato.
La creatività è appunto questo: trovare nuovi linguaggi, cercare nuovi strumenti per convincere di qualcosa. Tutto ciò che è già visto, già sentito, già collaudato, difficilmente può definirsi ‘creativo’. Questo è al tempo spesso il limite e la grande sfida della creatività per il futuro. Trovare qualcosa di nuovo in un settore in cui tutto sembra già essere stato fatto.

Parliamo in particolare della campagna Enel...

Non è stato un lavoro semplice: in primo luogo perché Enel è Enel, quindi un vero e proprio colosso, tra l’altro un’azienda con cui tutti noi più o meno a scadenze fisse ci troviamo a “fare i conti” nel vero senso della parola: il che non era per noi certo un vantaggio. In secondo luogo perché bisognava comunicare il grande sforzo quotidiano di Enel, in termini di uomini, mezzi e investimenti. Ed il rischio era di cadere nel retorico, o di essere visti e percepiti come distanti, poco umani. Questo è un rischio che normalmente si corre quando bisogna “autocitarsi” e quando si devono snocciolaree dati, numeri, fatturati, eccetera.
Abbiamo quindi cercato di lavorare partendo da un assunto molto semplice: l’energia non è una cosa che si trova dietro l’angolo. Noi tutti la diamo per scontata, ma quanti di noi in realtà si soffermano a pensare quanti sforzi richiede produrre e portare l’energia?
Da qui l’idea di mostrare come sarebbe il mondo se l’energia si trovasse facilmente: un film quindi più visionario che realistico, nel suo piccolo più poetico che strettamente autocelebrativo. In questo, dobbiamo riconoscere, un grande contributo è venuto dal cliente: perché lui per primo ha sposato l’idea di proseguire sul territorio dell’ “energia che ti ascolta”, che è il posizionamento che Saatchi ha portato in Enel circa tre anni fa.
Siamo stati felici di affidarci per questo lavoro a Paul Arden, un regista che ha sempre tanto da insegnare non soltanto a noi, ma a intere generazioni di registi. Che ancora crede nei casting “naturali”, che interpreta il realismo senza cadere nei tranelli della pubblicità più patinata o di tendenza.
Ed è stato molto gratificante, al di là dei premi che sono arrivati, vedere come le persone abbiano amato molto questo spot, un po’ in tutti i suoi aspetti: la musica, la simbologia, la ricerca di elementi naturali.

Che cosa caratterizza il vostro modo di lavorare?

Saatchi & Saatchi fabbrica idee. A volte queste idee generano operazioni di advertising tradizionale, altre volte si esprimono per vie diverse, sempre cercano la strada ancora non percorsa.
Un’idea, per esempio, è lo scambio delle maglie fra squadre di calcio come operazione contro la violenza negli stadi.
Un’idea è il poster più lungo del mondo, realizzato a Roma ed entrato nel Guinness dei Primati. Un’altra idea è creare intorno a un prodotto non una campagna, ma una vera e propria comunità, di cui la campagna è solo una delle tante espressioni: la Clio Community è stata esportata in 38 paesi..Un’idea è anche aver coltivato una vocazione per le campagne sociali, raccolte nella mostra intitolata “Saatchi & Social”. Un’idea è non limitarsi ai soliti media ma inventarne di nuovi. In un caso abbiamo usato come mezzo una cabina telefonica schiacciata da una pressa, per il lancio del film Godzilla in UK.Un’altra idea è aver rivoluzionato il modo di concepire i brief in agenzia: invece delle vecchie copy-strategy, il “challenge” come punto di partenza..Non ci chiediamo semplicemente “che cosa la comunicazione deve dire”, ma “che cosa deve fare”, perché l’informazione da sola è un potente passion-killer. E senza passione una marca potrà guadagnare notorietà o conquistare qualche punto di share, ma non potrà mai diventare un Lovemark.La marca è quella cosa egocentrica, aziendale e un po’ noiosa che non la smette mai di parlare di se stessa a un pubblico che non le ha chiesto di farlo. Saatchi & Saatchi preferisce immaginare il rapporto fra i propri clienti e il loro pubblico come una storia d’amore. E l’amore non si costruisce solo con le informazioni e le argomentazioni: segue strade più imprevedibili, emozionali e persino sensuali. Trasformare una marca in un “Lovemark” è il fine del nostro lavoro.

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Ultimo aggiornamento:
1 agosto 2022
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