Dario Alesani
Direttore Creativo Lowe Pirella
Dario Alesani – Direttore Creativo Lowe Pirella
Guardando con tristezza il rosso sole,
mi accorgo di non aver molte parole,
la mia breve vita di speranza, sta finendo qui, nella Brianza,
il mio futuro, dicevo da bambino,
è andato via, come il vento del mattino.
Lo so, sembra l'inciso di un pezzo di San Remo. Invece è una cosa che ha scritto un bambino di 6 anni in una cupa mattina d'inverno. Sua mamma gli aveva detto di portare giù le immondizie proprio mentre stava finendo il math clou: Antonio Hinoky contro Hulk Hogan. Scendeva le scale di corsa e pensava: non è giusto, non è giusto, non è giusto. Sentiva che non sarebbe tornato in tempo per la fine.
Quel bambino non sapeva nemmeno bene dove fosse la Brianza, ma si rendeva conto che con speranza faceva rima da Dio. E rendeva l'idea.
Dopo tanti anni queste poche banali righe tornano di grande attualità. La metafora della vita, mi rendo conto, assomiglia clamorosamente a quella della pubblicità.
E tutto incredibilmente corrisponde.
Ogni volta che stai facendo un buon lavoro succede che qualcuno ti costringe a interromperlo. Non so, cambia un direttore marketing, o le vendite non vanno come ci si aspettava. Insomma, stavi gustandoti il tuo spot preferito quando la mamma ti manda giù a buttare le immondizie.
Le immondizie? Sì, come molti commercial e campagne che questo cupo inverno della comunicazione spesso ci costringe a fare. Lo so, lo so, sono cose ormai dette e ridette. Le ricerche che appiattiscono, i clienti che non vogliono rischiare, l'economia che va male... Ma sapete che c'è?
C'è che quando hai 6 anni non è giusto che tu scriva una poesia triste.
Ecco, io penso che non sia giusto che dei giovani creativi siano costretti a lavorare con questi presupposti. Non è giusto e non è produttivo.
E in più gli dicono che gli inglesi sono bravi e a Cannes non c'è mai niente di buono da iscrivere. E ci credo! La nostra pubblicità funziona al contrario: viene trainata da grandi investimenti che propongono sempre piattume condito da finto formalismo trendy.
Poi ci sono poche belle idee che passano in sordina, e vengono fuori solo durante i vari galà. Nella testa dei grandi investitori sembra che sia sedimentata questa convinzione: se c'è una bella idea lo spot non funzionerà. I creativi lo avranno fatto solo per vincere dei premi. Qui serve qualcosa di chiaro, con meno personalità, che vada bene per tutti e che non dia fastidio a nessuno.
Poi torni a casa di corsa, ti precipiti davanti alla tele, dai magari c'è ancora qualche possibilità, pensi. Ma quando arrivi ti accorgi che è tardi. Il match è finito.
E il cliente è perso.
Il dazio che le agenzie devono pagare per sopravvivere, ovvero il compromesso sulla creatività, è il germe che porterà alla morte o alla rivoluzione.
A 6 anni non pensi alla morte. Per cui, con calma, siamo tutti qui ad aspettare la rivoluzione. Io me la immagino in diretta su canale 5 con il commento di Dan Peterson.
Quest'anno Mediastar ci ha premiato con le campagne radio di Coop, con lo spot "ventilatore", sempre di Coop, con i radio di Principe e con lo spot per Gay tv.
Per quanto riguarda l'insegna della grande distribuzione, devo dire che Coop è, a mio avviso, assieme a Rai, Sky e a qualche altro marchio, uno dei pochi clienti che si muovono nella direzione della qualità creativa. Avere come referente un cliente competente, colto e intelligente non è solo stimolante. E' difficile. Difficile perché devi dare sempre il massimo, perché sai che non te la puoi cavare con soluzioni di mestiere. Non porti a casa il risultato con trattamenti super che servono a mascherare idee così così. Tutto questo significa fatica e impegno. Ma anche, a prodotto finito, grandi soddisfazioni. Se le campagne Coop entrano negli annual, vincono i premi e piacciono alle persone, il merito è in primo luogo di chi queste campagne le sceglie e le approva.
Si parla sempre di agenzie e di clienti, forse troppo poco spesso di persone. La Coop sei tu, dice il claim. In questo caso la Coop è Gabriella Masciaga, responsabile della comunicazione, è il presidente Vincenzo Tassinari.
Il premio va a loro. Come il mio personale incitamento sulla qualità creativa: tenete duro.
Principe e Gay tv sono altre due dimostrazioni di aziende e persone che credono ancora nella buona pubblicità. Che il futuro gliene renda merito.
Questa è l'agenzia di Emanuele Pirella. Un signore distinto, con i capelli bianchi e l'atteggiamento pacato.
Pirella ha due agenzie, alcuni reparti creativi e diversi superpoteri. Ancora oggi riesce a mediare tra le richieste delle committenze e le necessità della creatività. Il risultato sono campagne con idee ancora originali, che in più soddisfano il cliente e fanno vendere i prodotti.
Pirella non ha la patente, appare assieme a una nuvola di fumo grigio, e la criptonite gli fa un baffo.
Secondo me potrebbe battere anche Antonio Hinoky.