Lorenzo Marini
Presidente e Direttore Creativo Lorenzo Marini&Associati
TAVOLA ROTONDA - 31 Maggio 2011
Gaetano Grizzanti (moderatore dell’incontro):
Nel desiderio che il consumatore moderno ha di vivere un’esperienza di marca inedita, passerei la parola a Lorenzo Marini. Creativo Pubblicitario e Presidente dell’agenzia Lorenzo Marini Group. Con lui vorrei capire come deve essere, oggi, una pubblicità orientata verso la marca.
Lorenzo Marini:
La marca si orienta verso il consumatore, così come l’ago della bussola si orienta naturalmente verso Nord. Negli anni ‘80 il Re era il Prodotto. Solo per fare un esempio, lo slogan di Barilla a quei tempi era “Barilla vi fa sentire sempre al dente”. La promessa era di prodotto e il key visual la forchetta. Negli anni ‘90 arriva una Regina di nome Marca. Nonostante la crisi di quegli anni, tutto è diventato marca, difatti Barilla diceva “Dove c’è Barilla c’è casa”. Con il 2000 arriva un nuovo Principe: il Consumatore. A testimonianza di questo passaggio, mi viene in mente una copertina del Times del 2005 con in primo piano uno specchio. La vera star è il consumatore, il lettore, il cliente. Questo spiega, per esempio, perché la Banca Mediolanum sceglie il suo presidente che, nel deserto, su una poltrona rossa, afferma “Costruita intorno a te”. Ma questo anche per Vodafone, Power ti You. Le agenzie per essere efficaci devono fare branding. Non credo, quindi, che il problema sia come comunicare in termini di notorietà, ma in termini di valori che, in questo momento, rappresentano qualcosa di importante per i consumatori.
La marca è stabile, il consumatore invece è labile. Aggiungerei che il consumatore in se stesso non è mai di destra o di sinistra, ma diventa tale nel momento in cui ha bisogno di incarnare certi valori o pensieri. Analizzando il voto politico vediamo infatti che il voto ideologico è soli il 30%; un altro 40% è rappresentato dal voto di adesione e il restante 30% circa è legato alla decisione dell’ultimo minuto. Se ci stiamo spostando sempre più verso un approccio emotivo, la marca non è più la rappresentazione del suo valore intrinseco, ma la rappresentazione del valore in cui ti rispecchi. La marca che ti è vicina è, dunque, la marca che sa farti da specchio.
Oggi siamo entrati nella fase dello storytelling. Il futuro comunicativo dei brands sarà quello di raccontare storie. Anche nel Naming. Faccio qualche esempio. Ho visto a Londra una margarina che non si chiamava “margarina” bensì “I can’t believe, it’s not butter!” (letteralmente Non posso credere, non è burro!). Oppure, l’ultimo profumo di Hermès si chiama Un jardin après la mousson, (ovvero nel giardino dopo il Monsone); non è più sufficiente dire il nome del prodotto o il numero del profumo, come accadeva negli anni ’80 ma raccontare storie. La percezione cambia più velocemente dei prodotti stessi. Prendiamo il vino. Negli anni ’80 se tu andavi in un’osteria nel pomeriggio eri considerato un mezzo alcolizzato; oggi invece sei super trendy se vai nei wine bar. Niente di diverso rispetto alla passata osteria, ma con un look nuovo e una nuova immagine va tutto bene.
Non sono cambiati il formaggio e il vino. È cambiata la nostra percezione di questi. Per costruirsi un’identità, oggi, un brand deve rappresentare i trend del momento.
Gaetano Grizzanti:
Se di fatto la marca deve adattarsi alle situazioni, in un contesto in cui il cambiamento è all’ordine del giorno, come fa a cambiare rimanendo sempre se stessa?
Lorenzo Marini:
È una questione di equilibrismo. Esattamente come noi siamo funamboli, in bilico tra mercanzia e poesia. Usiamo la logica e al tempo stesso la fantasia. Non siamo artisti. Gli artisti usano la fantasia senza curarsi di ciò che accadrà. Noi dobbiamo vendere un antiforfora, un callifugo, uno shampoo o qualcosa che forse non ti è così necessario. La pubblicità ha successo quando incarna la sociologia del momento. Come negli anni ’80 andava lo spigolo, il gel, i Duran Duran e tutto era d’acciaio e pelle nera; così negli anni ’90 arriva Enya, tutto si arrotonda e c’è un’auto di nome Ka che sembra un Buondì e tutto diventa morbido. Ogni dieci anni cambia tutto. La rucola degli anni ’80 è stata abbandonata per lo yogurt anni ‘90. Negli anni ‘10 va di moda la contaminazione, il crocevia culturale; in fondo l’iPhone è solo la convergenza tra musica, telefonia e internet.
Uno dei problemi della comunicazione italiana è di essere prodotto-centrica. Non si fa comunicazione di promessa ma una celebrazione costante della performance del prodotto.
Più del 50% delle comunicazioni sono ego-riferite, nel senso che esprimono un “guarda quanto sono bravo”. Sono gratificate per le aziende che le emette. Tu, consumatore, invece, quando vedi un cartellone pubblicitario ti trovi a pensare: “A me cosa interessa?” In altri termini, qual è la promessa sottesa? Il più delle volte, infatti, le aziende amano gratificarsi. Raramente il consumatore sente una storia che gli interessa e le storie che gli interessano sono quelle del momento.
Da cent’anni è così. La comunicazione è come una bussola che indica nord, sud, est od ovest. Si passa da più grande a più piccolo; più nuovo a più vecchio. La novità è “dalla ricerca Collistar” o “dai laboratori Garnier”, così come la tradizione racconta “Dal 1848, da cento anni, da sempre con voi. Più la macchina è piccola e più vuole sembrare grande; più l’azienda è industriale e più deve sembrare artigianale. Ecco perché Rana è vestito con il grembiule e il Mulino Bianco fa le macine una per una. Più le multinazionali dell’advertising sono tali, più il loro logo è una firma artistica. Più un’agenzia è piccola più usa nomi altisonanti per sembrare grande.
È una battaglia continua che esiste da sempre. Questo è il bello del lavoro dei creativi pubblicitari. Noi non amiamo per nulla la pace, e vogliamo la guerra. Ma una guerra nobile, solo quella delle idee.