Iole Natoli
WE TRUST IN...
Ispirazione e produzione creativa. L’ispirazione ci accompagna, e come si dice non dà preavvisi, la produzione spesso conferma le idee e il lavoro di team produce sempre i migliori risultati.
Iole Natoli
Director
Script supervisor, Poetess
About “Incanto”:
https://www.youtube.com/watch?v=TwLICIllTzM
http://cinemio.it/film-italiani/iole-natoli-intervista-incanto/9559/
About “A un millimetro dal cuore”:
https://www.youtube.com/watch?v=eAuqCsQqU4E
https://www.comingsoon.it/film/a-un-millimetro-dal-cuore/37624/scheda/
Come nasce l'ispirazione, per un creativo di oggi? Dove traiamo la nostra "ispirazione" che ci porta a rivelare ciò che esiste ma è nascosto?
Io penso che la bellezza e l’ispirazione, la si trovi in quello che ci circonda, nel rapporto con gli altri esseri umani che fanno il set o il contesto creativo.
Mi preme sottolineare, che l’ispirazione nasce dall’uomo stesso, per la sua naturale capacità di immaginare. Non è un elemento esterno a farla scaturire, non è un’illuminazione divina ma viene dal pensiero non razionale, dalla fantasia e dalla creatività che sono caratteristiche esclusivamente umane che poi, come anticipavo, interagiscono tra loro attraverso il rapporto dialettico e affettivo tra gli esseri umani. A volte, può esprimersi in un gesto fatto per caso, una battuta sbagliata. Per rispondere meglio, ti racconto un episodio accaduto durante le riprese di una scena del film La balia di Marco Bellocchio, protagonista Valeria Bruni Tedeschi.
Bellocchio voleva che tutti i familiari andassero a complimentarsi e baciare Valeria che aveva appena partorito. Sul set c'erano, tra le figurazioni speciali, anche le due sorelle del regista. Una di loro intelligentissima e molto simpatica era sordomuta dalla nascita. Al suo turno la donna cominciò a comunicare con Valeria con i gesti ma anche con i suoni gutturali tipici dei sordomuti.
Le due che si erano conosciute prima della ripresa, cominciarono a ridere con reciproco affetto e complicità. Valeria però, si esprimeva con una risata che era un po’ commozione e un po’ isteria - temeva di aver sbagliato - e aspettava lo stop, ma Bellocchio fece cenno alla troupe di stare in silenzio e continuare a girare. Quella scena è montata nel film.
Perché? Perché Valeria Bruni doveva interpretare il ruolo di una donna che partorisce ma poi sta molto male, in piena crisi postpartum e dunque quella risata era perfetta. È diventata una delle più belle e ispirate scene del film. Piena di emozione. Imprevista. Nata, come accennavo, da un autentico e affettivo rapporto interumano realizzatosi in quel momento sul set e rubata magistralmente da Bellocchio.
Come riconoscere la consapevolezza delle proprie competenze nel nostro ambito lavorativo? Come misurarsi con questo aspetto nello svolgimento dell'attività professionale?
Per una corretta elaborazione della propria competenza professionale, prima di tutto bisogna formarsi. Fare gavetta, spendere ore a studiare, leggere libri, vedere film, incontrare persone, documentarsi, buttarsi in imprese anche le più assurde o che ci sembrano difficili.
Quando si è agli inizi del proprio percorso professionale o lo si sta ancora cercando, occorre cercare di fare più esperienza possibile, rapportarsi a chi ne sa di più con rispetto e considerazione. Essere aperti, recettivi, allargare i propri orizzonti, essere curiosi e avere il coraggio di fare tante domande, solo così si acquisisce competenza. L’obbiettivo deve essere apprendere il più possibile, fino a quando durante questo percorso, non senti che sai fare anche tu, capisci di avere quella certezza interna che le tue potenzialità si sono trasformate e diventeranno professione. Indubbiamente tutti dovrebbero avere la possibilità di essere messi nelle condizioni di potersi formare e ampliare le proprie qualità e dunque penso che anche la formazione dovrebbe essere pagata.
Il discorso è diverso per quel che riguarda gli artisti i quali secondo me possono solo apprendere le tecniche ma ispirazione e creatività sono espressione di un quel mondo interiore del quale ti parlavo prima e dunque credo, che la certezza di essere artista, forse, un artista non debba averla mai. O meglio credo che un artista debba essere sempre in movimento, guidato dalla passione, dalle emozioni, immerso nel proprio mondo sensibile e affettivo che è fantasia e capacità di immaginare.
Nel nostro mondo condiviso non ci si può più permettere di agire da soli. Con chi costruire alleanze per rispondere alle esigenze del mercato di oggi?
Difficile la risposta. Quando scrivo, lo faccio da sola ed è una solitudine indispensabile a ritrovare quel mondo affettivo, la memoria delle esperienze vissute che la fantasia trasforma in scrittura. Il mondo è dentro di te, solo in un secondo momento quando pubblichi o fai leggere non è più tuo ma di chi ti legge e gli altri dovrebbero fare quello che hai fatto tu quando hai scritto, lasciarsi andare alla fantasia abbandonare il pensiero razionale. Sul set un regista può essere creativo? La risposta è: sì! Deve ritrovare quello stesso mondo di fantasia riuscire a ritrovare quella solitudine interiore di cui parlavo poco prima, nonostante sia circondato da moltissime persone.
Mi spiego meglio: dal momento in cui si parte con le riprese il regista compie un atto creativo anche quando tutto è stato pianificato o deciso o magari sceneggiato da qualcun altro. Ecco che allora i rapporti umani diventano importantissimi. Il set è un collettivo, composto da centinaia di persone che dovrebbero sostenere e non ostacolare la creatività di un regista. Quando ho girato i miei corti ho avuto la fortuna di avere grandi collaboratori, professionisti che hanno partecipato con grande slancio e generosità, permettendomi così, di poter essere libera di esprimermi e di creare immagini senza nessun limite pur lavorando a low budget. Ogni componente della troupe si è attenuto scrupolosamente alle proprie competenze e alle mie disposizioni. Ti faccio un esempio: ho diretto Marco Bellocchio e Aureliano Amadei e, posso affermare che nessuno dei due registi mi ha mai scavalcato o dato un suggerimento, entrambi si sono limitati a fare quello per cui erano stati chiamati: gli attori. Ma tu mi stai chiedendo di alleanze e di esigenze di mercato.
Ti parlo allora, di Gomorra la Serie. Molto complessa non solo per il tema trattato ma logisticamente difficile: quattro registi, duecento location, centinaia di persone tra troupe attori, stunt man; effetti speciali scene d’azione difficilissime e direi anche pericolose; migliaia di imprevisti; riprese realizzate prevalentemente di notte - per ogni serie - otto mesi di riprese; giornate di lavoro lunghissime. La vita vissuta in ogni suo istante sul set. Tutto estremamente faticoso, anche perché costretti a fare i conti con quello che si respirava a Napoli: da una parte la finzione del set che rappresentava una violentissima realtà e dall’altra quella che si ritrovava fuori nei luoghi in cui si svolgevano le riprese - penso alle Vele o ai Quartieri Spagnoli - Napoli, bellissima e indimenticabile ma simultaneamente culla natale di dinamiche violente, da cui gli sceneggiatori, i registi e tutti i reparti artistici e tecnici hanno tratto ispirazione. Dinamiche che premevano col loro peso specifico su tutta la troupe. Essere uniti, alleati, assolutamente necessario. Alleanza di cuori. Rifocillarsi ogni giorno di affetti umani.
Se non fossimo stati così coesi e solidali, nel rispetto delle competenze di ciascuno, Gomorra non sarebbe stata la serie che è: un prodotto di grande qualità, criticato ma apprezzato in tutto il mondo. Il grande Martin Scorsese l’ha ritenuta una delle migliori che abbia mai visto, una delle sue serie preferite.