Uno sguardo intorno a noi...
Interviste della IX Edizione Mediastars
Qualunque sia il ‘nuovo mondo’ che attende la comunicazione, avrà sempre bisogno di idee belle, nuove, originali. Anzi, la creatività dovrà, per forza di cose, farsi sempre più diffusa e capillare: in ‘orizzontale’, riversandosi su tutti i media a disposizione, che dovranno sempre più coordinarsi per parlare, ciascuno nella propria lingua, in modo corale; e anche ‘in verticale’, pervadendo tutte le fasi della comunicazione e tutti gli attori coinvolti, dall’elaborazione della strategia da parte dell’azienda fino agli aspetti più tecnici della produzione.
Il mondo della pubblicità è oggi investito da grandi cambiamenti: sia perché per sua natura riflette immediatamente – forse addirittura anticipa - i mutamenti della società che gli sta intorno sia perché qui, forse prima che in altri settori dell’economia, le innovazioni tecnologiche trovano immediata applicazione, cambiando profondamente non solo il modo di lavorare ma le forme e persino i contenuti della comunicazione d’impresa.
Per questo, da un paio d’anni, abbiamo avvertito l’esigenza di dare spazio, a corollario del nostro concorso, ad una riflessione corale sullo ‘stato dell’arte’, che cerchi di rispondere alle eterne domande: ‘chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo’...
E quindi, già dallo scorso anno, abbiamo cercato di fare di questo volume non solo una vetrina dei lavori in concorso ma un vero libro, scritto dai protagonisti del mondo pubblicitario, che raccontano se stessi, il loro lavoro, i loro progetti.
Quest’anno abbiamo proseguito su questa strada, cercando di fare un piccolo passo in più: abbiamo quindi chiesto a tutti i nostri intervistati non solo di parlarci dei lavori premiati e delle rispettive agenzie ma anche di esprimere, a ruota libera, il loro punto di vista sul mondo della comunicazione pubblicitaria, sia in generale che con riferimento agli specifici settori di attività in cui operano .
Oltre cinquanta professionisti di primo piano hanno partecipato a questo dibattito virtuale: con alcuni, abbiamo chiacchierato a lungo a tu per tu, con altri, è stata una conversazione al telefono, magari sfruttando i tempi morti di un viaggio; altri ancora ci hanno mandato i loro scritti: seri o spiritosi, stringati o poetici....Tutti hanno comunque partecipato con grande disponibilità ed interesse a questo esperimento di riflessione collettiva.
Ne è nato un mosaico di commenti ed opinioni che, pur senza la pretesa di fornire un quadro completo e sistematico della situazione, può costituire, ci auguriamo, l’occasione per un confronto tra professionisti con ruoli e competenze assai diversificate.
Il panorama che gli intervistati hanno tracciato è, come potete constatare leggendo le interviste, molto sfaccettato e suggerisce una quantità di temi, ciascuno dei quali meriterebbe una trattazione approfondita.
Emergono però alcuni temi ricorrenti e spesso condivisi, che proviamo a riassumere.
Un momento poco entusiasmante
Il momento non è certo dei migliori: qualcuno lo ha definito ironicamente ‘di austerity’, tutti hanno parlato in modo molto franco di una situazione di grande difficoltà del settore, riflesso di una crisi assai più generale che costringe le aziende a tagliare drasticamente le spese: e tra queste, un po’ paradossalmente, la comunicazione.
E questo non può non ripercuotersi sul modo di lavorare: tutti lamentano la scarsità di investimenti, i budget sempre più risicati, le gare senza regole; ma anche – in tutti i settori - i tempi strettissimi, per l’incertezza, la difficoltà dei clienti nel prendere decisioni che li spinge a temporeggiare, ripensare, testare ogni iniziativa, finendo per comprimere al massimo i tempi di realizzazione della comunicazione. Che invece ha, ovviamente, tempi tecnici inderogabili, se si vogliono rispettare certi standard qualitativi.
Il rischio del conformismo
Anche il contenuto del messaggio pubblicitario finisce per risentire di questo clima: le aziende, che nel nostro paese non hanno mai brillato per eccessi di fantasia, si sono fatte ancora più prudenti, propendono per una comunicazione senza rischi, che possa piacere a tutti, magari sulla scia di soluzioni già sperimentate con successo. Quindi una tendenza all’appiattimento e all’omologazione dei messaggi che rischia di risultare invisibile in un contesto sempre più affollato di informazioni e di stimoli.
A monte, anche le strategie di comunicazione sembrano improntate ad un basso profilo: la necessità di ottimizzare i pochi investimenti porta a puntare su obiettivi di breve periodo, finalizzati ad un beneficio immediato. Ossia, l’esatto contrario di ciò che servirebbe.
Puntare in alto
Le ricette che gli intervistati suggeriscono per affrontare una situazione di crisi come quella odierna vanno invece in tutt’altra direzione.
Innanzitutto, molta creatività: idee forti e linguaggi nuovi, in grado di rendere il messaggio visibile e appetibile per un consumatore sempre più distratto e critico (per non dire scettico), sempre meno disposto a farsi sedurre dall’uso e abuso di mondi patinati e modelli aspirazionali.
Alla base, visioni di ampio respiro, una comunicazione strategica, che sappia creare e sedimentare valore aggiunto attorno al brand, più ancora che al singolo prodotto. E’ infatti solo la cura della marca e di un suo mondo di ‘valori’ distintivi che può creare appeal e fedeltà verso prodotti ormai sempre meno differenziati sul piano della performance.
E non si deve pensare che un tale salto di qualità sia incompatibile con la situazione attuale, in cui si cerca di ‘galleggiare’ aspettando la fine del tunnel. Al contrario, la necessità aguzza l’ingegno e piccoli budget possono dare luogo a grandi campagne, basta volerlo: i progetti no-profit sono lì a dimostrarlo.
Un approccio globale e bidirezionale
Sul piano tecnico, gli strumenti per una comunicazione innovativa non mancano di certo.
L’ampliarsi della gamma di media a disposizione permette – o magari impone – la sperimentazione di linguaggi innovativi e una autentica integrazione di tutti i canali di comunicazione, in cui le tradizionali divisioni tra ‘above the line’ e ‘below the line’, tra ‘on line’ e ‘off line’, sembrano avere sempre meno senso. Una comunicazione sempre più ‘crossmediale’, in cui il messaggio deve potersi declinare ed adattare alla specificità di ciascun medium.
E in questo ventaglio sempre più ricco di canali di comunicazione, crescono le possibilità di interattività - e non ci si riferisce solo ad Internet ma anche alla telefonia mobile o, in prospettiva, al più classico dei mezzi, la televisione - consentendo uno sviluppo senza precedenti di un approccio più relazionale, più mirato, più dinamico, in cui il consumatore diventa un interlocutore con cui confrontarsi su un piano di parità, piuttosto che un soggetto passivo della comunicazione.
Pubblicitari e clienti: più vicini o più lontani?
Altro aspetto della trasformazione in atto: l’impatto delle tecnologie digitali sul modo di lavorare, sulla quotidianità.
Tanto per iniziare, la diffusione della banda larga, che ha semplificato e velocizzato la comunicazione tra clienti e fornitori, eliminando le barriere spaziali e temporali, ma ha anche spersonalizzato i rapporti cancellando, insieme ai tempi morti, anche il contatto vis à vis, lo scambio, l’interazione personale.
E poi le sconfinate possibilità di ‘effetti’, più o meno speciali, che ormai permeano qualsiasi comunicazione, eliminando dal vocabolario della produzione la parola ‘impossibile’.
Possibilità che sembrano incidere non più di tanto sul contenuto dei messaggi in cui, dopo qualche eccesso fantascientifico iniziale, oggi sembra prevalere un uso più maturo della post-produzione: l’effetto che non si vede, che consente di ottenere in modo più facile, veloce ed economico un risultato apparentemente ‘reale’.
Ma che cambiano, profondamente, il modo di lavorare: da un lato, possibilità creative no limits, senza troppe preoccupazioni produttive; dall’altro, qualche rischio di snaturamento del lavoro creativo: come quando la la post-produzione diventa una ‘scorciatoia’, per fare in fretta o risparmiare, o quando è usata senza una reale necessità, tanto per fare colpo; o quando impone la prassi di presentare al cliente, fin dall’inizio progetti già definiti, da prendere o lasciare, quasi annullando il rapporto dialettico con l’agenzia.
Creatività e tecnologia
Dunque, da un lato la tecnologia come opportunità di liberazione della creatività dai vincoli della produzione ‘materiale’; dall’altro, il rischio di una perdita di senso del lavoro del pubblicitario: sempre più ‘fornitore’ di un prodotto confezionato, sempre meno consulente che produce idee, su cui lavorare insieme al cliente in un necessario confronto dialettico.
Una ‘rivoluzione’, destinata come tutte le rivoluzioni a seppellire definitivamente un mondo ormai superato? O un momento di passaggio in cui, dopo una necessaria fase di assestamento, le novità verranno assimilate e tutto cambierà per non cambiare nulla, come nella migliore tradizione?
Per ora, la percezione più diffusa è quella di trovarsi in una fase di grande cambiamento in cui opportunità e rischi si scoprono cammin facendo e un nuovo modo di lavorare va inventato giorno per giorno.
Ma di qualcosa tutti gli intervistati sono certi: qualunque sia il ‘nuovo mondo’ che attende la comunicazione, avrà sempre bisogno di idee belle, nuove, originali.
Anzi, la creatività dovrà, per forza di cose, farsi sempre più diffusa e capillare: in ‘orizzontale’, riversandosi su tutti i media a disposizione, che dovranno sempre più coordinarsi per parlare, ciascuno nella propria lingua, in modo corale; e anche ‘in verticale’, pervadendo tutte le fasi della comunicazione e tutti gli attori coinvolti, dall’elaborazione della strategia da parte dell’azienda fino agli aspetti più tecnici della produzione.