Lorenzo Marini
Storytelling: l'Arte di raccontare storie in Comunicazione
Lorenzo Marini Ceo e Direttore Creativo Esecutivo Lorenzo Marini Group
Come utilizzare oggi in modo innovativo lo storytelling a partire dai suoi elementi costitutivi?
L’uso e l’eccesso di considerazione che lo storytelling sta assumendo oggi nasce da una interpretazione sbagliata. Che sia cioè un concetto di comunicazione, mentre è solamente uno stilema narrativo. Senza una storia da raccontare, difatti, non c’è nessun storytelling.
Storytelling non vuol dire fiaba o racconto ma pensiero lineare che tiene unite le varie emozioni del brand. Esattamente come un filo di seta tiene unite le perle per diventare collana.
Una delle storie più affascinanti nella comunicazione italiana, penso che sia quella del Chinotto San Pellegrino: nasce in piena autarchia, in quanto il fascismo voleva creare una Coca-Cola locale. Il chinotto è un agrume, cattivo da mangiare, così si decide di utilizzarlo come un’aranciata amarognola. Con l’arrivo dell’influenza americana, a partire dagli anni ’70, il Chinotto viene considerato kitsch e la Coca e Pepsi lo adombrano. Che fare?
Negli anni ’80 la San Pellegrino attua una strategia marketing comparativa, a mio parere valleitaria e forse sbagliata, e cioè lo impone come alternativa locale alla Cola con lo slogan “C’è chi beve e chinò”, ma contro un brand globale e affascinante come Coca-Cola la sconfitta è ovvia. Il locale fa autogoal e diventa provinciale. Quante volte l’ho chiesta ai ristoranti, ricevendo in cambio solo uno sguardo di compassione. Come se avessi chiesto un rabarbaro, una cedrata o un vermount chinato. Che ridere!
Ma ecco che arriva la crisi degli anni 2008 e con la crisi nasce il vintage, perché la paura del futuro crea come conseguenza l’amore verso il passato. Ed è ancora l’intuizione di Farinetti che con Eataly reinventa il chinotto Lurisia, quello di Savona, quello del presidio slow food, quello che finalmente ha una storia da raccontare.
La storytelling fa da funambolo tra verità e finzione, è una forma che ha bisogno di contenuti validi, cosa che poche marche, almeno in Italia, hanno. Negli anni ’80 e ’90 il modo di raccontare era frammentato, tutto a stacchi e tessere di mosaico. Oggi si è riscoperta la linearità, tipica degli anni ’60 di Carosello. Non essendoci più i cluster, in quanto il consumatore sceglie la marca che predilige, le marche sono diventate arcipelaghi e i consumatori sono ormai navigatori, senza più fedeltà.
Lo storytelling esiste da sempre e sempre ci sarà, ma solo se è presente una storia efficace da raccontare. Abbiamo creato, qualche anno fa, la campagna per l’olio Monini, in cui per la prima volta abbiamo reso l’olio non un semplice condimento a servizio di qualcos’altro, ma il soggetto principale, che trasforma il cibo e diventa parte centrale della storia. La comunicazione ha successo quando è semplice e si rivolge nel modo giusto al corretto target.
Ho partecipato a una tavola rotonda del Convention Center di Pechino con il tema Innovation & Evolution. A quanto pare la metà delle persone mentre guarda la tv è connesso ad internet con un altro device, quindi certamente siamo più connessi, ma anche più confusi! Molti clienti rendendosi conto della perdita di efficacia dei loro investimenti tv, si lamentano. Ma questo invece deve stimolare ad un nuovo coraggio, nuova creatività, nuova fantasia.
L’Italia non ha mai trovato una sua via nella pubblicità, la Francia ad esempio ha scelto la strada della seduzione, l’Inghilterra quella dell’ironia e l’America del pragmatismo, ma noi italiani non abbiamo una nostra metodologia, uno stile preciso e riconoscibile. In America non conoscono Armando Testa o Emanuele Pirella: un vero peccato.