Luca Scotto di Carlo
Direttore Creativo D, L, V, BBDO
Luca Scotto Di Carlo – Direttore Creativo D,L,V, BBDO
Iniziamo dalle campagne premiate: il film BMW selezionato anche questo anno dalla nostra giuria. Qual è l’elemento vincente in una campagna come questa?
Per noi questo premio è una conferma del buon lavoro fatto in questi anni: fin dalla prima campagna del ’98 – vorrei sottolineare che BMW è stato il primo cliente della nostra agenzia – abbiamo lavorato per dare a questo marchio un certo stile di comunicazione, rispetto ad un’immagine senz’altro ottima ma piuttosto ‘tecnologica’, un po’ fredda. Oggi, che questa sua immagine si è ormai consolidata, possiamo dire che BMW è un po’ il simbolo della nostra agenzia, del nostro modo di lavorare: è infatti un cliente a cui siamo particolarmente legati, con cui abbiamo un bel rapporto. Anche in questa campagna abbiamo scelto di parlare del prodotto in modo più sottile, un po’ laterale, parlando della ‘filosofia’ della trazione integrale (le prestazioni elevate nelle situazioni più difficili) anziché elencarne le prestazioni; abbiamo cioè trattato un tema ‘tecnico’ in modo indiretto, quasi metaforico. Non parlerei di ‘elemento vincente’: direi che c’è un buon connubio tra il prestigio del marchio, l’idea creativa, la realizzazione. C’è un grosso contributo anche da parte del regista Federico Brugia che, come fotografo, ha una forte sensibilità per le inquadrature, per la luce, in modo da dare all’auto un certo rigore formale, una eleganza non patinata.
E’ difficile lavorare con un cliente internazionale come BMW?
Abbastanza, perché il prodotto è vissuto in modo diverso in ciascun paese: ad esempio, in Italia e in Francia c’è più attenzione per l’elemento estetico, per il design, oltre alla presenza di limiti di legge che impediscono ad esempio di mostrare l’auto che sfreccia a forte velocità. Insomma, è difficile trovare qualcosa che vada bene per tutti. Nonostante questo, la campagna ha avuto un buon apprezzamento anche a livello internazionale, tanto che è stata adottata anche per l’estero.
L’altra campagna premiata, Henkel, riguarda invece un prodotto del tutto diverso, un detersivo...
Sì, direi che Henkel è uno dei clienti più difficili per un’agenzia perché il prodotto, a differenza di BMW, non ha un grande appeal intrinseco: in genere la comunicazione in questo settore si limita a mostrare immagini di persone che indossano il capo esprimendo compiacimento per la sua pulizia o morbidezza.In questo caso abbiamo umanizzato – o, meglio, ‘animalizzato’ – il capo in modo da trasmettere in modo immediato il plus del prodotto, la sua capacità di mantenere la forza del colore nero. Dopo qualche discussione, la campagna è uscita ed è stata una bella soddisfazione: ha infatti vinto importanti premi internazionali ed è stata pubblicata su riviste prestigiose, come Archive.
A volte quindi è difficile essere creativi...
Non direi, il difficile non è avere belle idee, il difficile è riuscire a venderle... Questi prodotti hanno in genere altri codici di comunicazione, molto realistici: la morbidezza si tocca, la bellezza si vede... Noi abbiamo cercato di comunicare in maniera creativa il plus del detersivo ma senza essere troppo ‘laterali’, cioè parlando del prodotto e dei suoi effetti. Alla fine, seppure con un po’ di fatica, l’idea è passata: quando un’idea è particolarmente azzeccata, piace di primo acchito e alla fine va avanti da sola. E una bella campagna fa bene a tutti, al consumatore, all’agenzia, al cliente.
La vostra agenzia è considerata particolarmente vivace dal punto di vista creativo...
Sì, noi cerchiamo di mantenere uno standard creativo alto, seppure sempre molto legato alla strategia di comunicazione del prodotto, non fine a se stesso. Questo si ottiene con un grande lavoro a monte: ci sono molte discussioni, un forte interscambio tra di noi, un processo molto ‘orizzontale’, molto diretto, sempre gestito in prima persona. E poi c’è la passione di tutti noi per il lavoro fatto bene e una forte presenza dei soci fondatori; tra di noi non c’è nessuno snobismo, nessuno si sente irrealizzato per il fatto di fare il pubblicitario, questo è quello che ci piace fare, e questo amore per il nostro lavoro è quello che noi cerchiamo di trasmettere.
Le difficoltà di questi ultimi tempi hanno inciso sul vostro modo di lavorare?
Sicuramente si sono accorciati i termini del rapporto con i clienti, ormai si lavora a progetto, è difficile creare una continuità, si è continuamente in gara, per cui si rischia di pensare più ad emergere che non all’obiettivo finale della comunicazione. Questo modo di lavorare, in cui si è costretti a fare tutto in fretta, con orizzonti brevi, crea un po’ di disinvestimento e rende difficile mantenere un rapporto professionale ottimale con il singolo cliente. Però questa situazione di scarsa fidelizzazione del rapporto ha i suoi vantaggi, perché ci consente di acquisire nuovi clienti: improvvisamente si aprono nuovi mercati, come è accaduto con la campagna per 1288, che ha avuto un buon successo.
Come affrontate in agenzia il tema della formazione?
Oggi esistono scuole specializzate, come l’Accademia della Comunicazione, da cui escono giovani in grado di camminare con le proprie gambe quando arrivano in agenzia e questo è senz’altro positivo, perché qui spesso manca il tempo per fare formazione. La difficoltà è quella di fare capire ai giovani che la vita reale è diversa dalla scuola: ci vuole impegno, i ritmi sono serrati, ogni idea deve superare molti filtri... Quindi la scuola non basta: chi arriva qui deve tenere gli occhi bene aperti, avere voglia di imparare dalle persone che gli stanno attorno; noi siamo molto aperti e, per un giovane che ne ha voglia, ci sono molte opportunità di imparare. A chi vuole intraprendere questa strada, consiglio di non distaccarsi troppo dalla realtà: va bene leggere le riviste, ma il mondo è quello reale, altrimenti si rischia di ispirarsi a modelli, magari esteri, che non fanno parte del nostro mondo, quindi poi non funzionano. Osservare, imparare, filtrare, questo è il suggerimento che vorrei dare loro.