Cinzia Barioni
L'intrattenimento in comunicazione per un coinvolgimento unico
Crede che l’intrattenimento attraverso il sorriso in tutte le sue espressioni possa rappresentare una tecnica di comunicazione interessante? Pensa che si possano riprodurre elementi che richiamino l'ironia anche con tecniche di visual?
Qualcuno diceva con tono minaccioso “una risata vi seppellirà” e qualcun altro negli ultimi tempi ha riscosso grande successo di pubblico incentrando la sua satira sul “una risata vi disseppellirà”. L’ironia è una componente della comunicazione e del coinvolgimento di pubblico che potrei definire naturale, ma ciò non significa che sia sempre esplicita.
Prendiamo la polenta come metafora molto nordica e molto chiara. L’acqua è la componente fondamentale di questa semplicissima preparazione: volete una polenta ruspante e soda per la grigliata di carne? Mettete poca acqua; volete una più elegante crema di frumento? Mettete molta acqua. Credo che l’acqua per la polenta sia come il fattore ironia per la comunicazione efficace: un ingrediente fondamentale dal cui dosaggio cambiano consistenza, sapore e contesto di tutta la preparazione.
Può non vedersi o può, invece, essere molto evidente, può essere seguita o evitata, ma l’ironia rimane tra i primi riferimenti del lavoro creativo, tra le prime domande che ci si pone sempre (questa volta la metto o no?); sta a chi deve cucinare quel lavoro capire quanto e in che modo avvicinarsi o allontanarsi dal punto cardinale SO (Sud-Ovest? Ma va, SOrriso!).
Quale è l’importanza dell’esperienza ludica, del gioco, nell'intrattenimento dell’individuo? Quanto è importante creare un meccanismo interessante, per ottenere l'attenzione e divertire le persone facendole anche riflettere?
Avete provato a convincere un bambino che la zucca bollita va mangiata perché fa molto bene al suo sistema cardio-circolatorio. Poi avete scoperto che ha ceduto solo dopo avergli raccontato che quella strana cosa arancio viene da un pianeta lontano e che laggiù è l’alimento dei gloriosi guerrieri volanti chiamati “zuka” armati di splendide spade di fuoco; il tutto proponendogli di iniziare un programma di allenamento che lo farà diventare forte come loro ed essere così arruolato da quel fantastico esercito di buoni come il principale alleato terrestre. Dopo questo sconvolgente aneddoto ecco un’altra incredibile verità: ogni persona, consumatore, cliente è stata prima di tutto un bambino, e nonostante abbia mediato e affievolito la sua propensione ludica, lui è rimasto quello stesso individuo, mosso da quello stesso combustibile che è l’aspetto di piacere e appagamento tipico del divertimento.
È molto difficile trasferire informazioni al ricevente (diventa del tutto impossibile trasferire addirittura sensazioni) senza aver prima conquistato la sua attenzione e la sua partecipazione (pensate quanto vi ha lasciato quel professore appassionato delle superiori e quanto poco invece gli altri suoi colleghi rigidi, freddi e didascalici!) attraverso la proposta di percorsi e gratificazioni non necessariamente legate allo schema tradizionale del gioco, ma obbligatoriamente (questo sì) legate a quell’infantile sogno di entrare a far parte di quei guerrieri “zuka”.
Quanto è importante far sentire ogni individuo una persona speciale cercando di renderlo davvero protagonista, motivandolo e facendolo diventare così brand partner? Far star bene il consumatore ricaricandolo di energia rinnovata, come crede possa essere legato alla parola, spesso abusata, di benessere?
Più che farlo sentire importante credo che l’individuo vada riconosciuto importante in quanto tale. Ora il pubblico, in ogni sua persona, è divenuto più che mai vero produttore di idee e contenuti di fronte al quale le scelte sono due: lo si può continuare a considerare spettatore passivo senza troppo preoccuparsi della sua propensione alla partecipazione e alla condivisione, oppure si può collaborare con lui coinvolgendolo e stimolandolo. Non credo ci siano molte alternative alla seconda opzione, o perlomeno non ci sono per chi desideri avere un futuro nel mondo della comunicazione, pubblicitaria o meno che sia. Le tecnologie e le trasformazioni sociali, le une cause ed effetto delle altre, hanno avuto l’effetto di generare un importante patrimonio di approcci ed energie diffuso tra il pubblico che chi produce creatività non deve temere ma anzi cavalcare ed indirizzare a suo vantaggio. Rischia di sembrare paradossale ma in questo momento la creatività più che inventare i meri contenuti, le parole e le immagini è chiamata ad inventare gli argomenti e le ispirazioni; sarà poi il pubblico, seguendo quel solco creativo, a riempire quello schema di parole e immagini, sarà lui a sentirsi coinvolto e a desiderare di prendere parte al completamento (personale e collettivo allo stesso tempo) del puzzle già impostato da chi progetta la comunicazione.
Motivazioni e suggestioni consegnate alla persona/cliente sono le chiavi per introdurla all’interno del sentimento dello specifico prodotto con un ruolo attivo. In questo senso il benessere può essere tradotto in autorealizzazione: la necessità di ognuno di noi di definire la propria personalità e il proprio ruolo sociale attraverso azioni e senso di appartenenza. Il punto non è tanto ricaricare il pubblico di energia, quanto piuttosto intercettare i suoi bisogni che già esistono, suscitando e incanalando tutto il patrimonio energetico latente che già ha e che già mostra di voler esprimere.