Pop Art!
1956-1968
Pop Art! 1956-1968
26 ottobre 2007- 27 gennaio 2008
Scuderie del Quirinale
Via XXIV Maggio 16, Romann
Curata da Walter Guadagnini, la mostra è una carrellata attraverso oltre 100 opere di una cinquantina di artisti che intende raccontare uno dei movimenti che hanno fatto la storia dell'arte e del costume della seconda metà del XX secolo, in ogni parte del mondo occidentale. Dipinti, sculture, collages, combine paintings, persino le bandiere tanto care alla tradizione americana, tutto è servito a questi artisti per narrare, interpretare, illustrare, esaltare, criticare la società dei consumi e delle comunicazioni di massa, i riti e i miti del loro tempo, che ogni giorno di più risulta essere l'anticipazione del nostro. Artisti americani e inglesi, francesi, italiani, tedeschi, spagnoli, superstar della scena artistica e delle aste contemporanee come Andy Warhol, Roy Lichtenstein, Robert Rauschenberg; figure leggendarie come quelle di Ray Johnson, Richard Hamilton, Peter Blake; artisti celebri ai tempi e oggi caduti (spesso ingiustamente) nell'oblio, i centri come New York, Londra, Parigi, Roma, ma anche le "periferie" come Nizza, Valencia, Dusseldorf. La Pop Art è tutto questo e altro ancora, è Marilyn ripetuta infinite volte, sono Elvis Presley, i Beatles, i Rolling Stones, Brigitte Bardot e Virna Lisi, è il logo della Coca Cola o della Esso, ma è anche l'assassinio di JFK, è l'astronauta visto come incarnazione contemporanea del mito di Icaro; sono le pin up che ostentano il corpo e il suo erotismo, è il ritratto di Sal Mineo nudo lungo undici metri ma sono anche fisici frammentati, volti anonimi di quello che un celebre saggio del periodo definiva l'uomo a una dimensione. Tutto questo è la Pop Art. E questo vuole restituire la mostra odierna attraverso un percorso non cronologico ma tematico, nel quale sia possibile per il visitatore ritrovare lo spirito degli anni che hanno visto nascere le opere e al tempo stesso le ragioni di una riflessione, a cinquant'anni di distanza, su di un fenomeno ben lungi dall'avere esaurito la sua carica comunicativa.
Dopo la prima sala introduttiva, incentrata sui precursori e su alcune figure di maggiore rilievo di questa vicenda - da Robert Rauschenberg a Jasper Johns, da Ray Johnson a Roy Lichtenstein, da Andy Warhol a Richard Hamilton fino a Peter Blake e Fabio Mauri -, la mostra si sviluppa in quattro sezioni, dedicate rispettivamente alla centralità dell'oggetto e alla sua sempre più evidente caratteristica di merce legata a un logo (in questa sezione si trovano dipinti straordinari di Robert Indiana, Peter Phillips, Mario Schifano, Jim Dine e le sculture di Claes Oldenburg); alle icone dello star system cinematografico e musicale, poste in relazione con i grandi eventi politici e sociali del tempo (qui sono esposti la grande tela dedicata da Gerald Laing all'assassinio di Kennedy, le Marilyn di Andy Warhol, gli astronauti di Joe Tilson e Derek Boshier, i manifesti strappati di Rotella); al rapporto che gli artisti Pop instaurano con la cosiddetta cultura bassa, dal fumetto all'illustrazione alla pubblicità, e, pariteticamente, con gli esempi provenienti dalla tradizione pittorica del passato - tema, questo, particolarmente caro agli artisti italiani presenti, da Festa a Ceroli a Schifano, ma anche a David Hockney, Roy Lichtenstein, Tom Wesselmann, Larry Rivers -; e, infine, alla nuova lettura e immagine del corpo e della sessualità che emerge come un motivo costante nell'ispirazione e nell'immaginario di un gran numero degli esponenti di questo movimento come James Rosenquist, Allen Jones con le sue provocanti pin ups, e ancora Martial Raysse, Pino Pascali, Allan D'Arcangelo.
Una esposizione quindi che non vuole avere un sapore nostalgico, e che non vuole nemmeno costruire monumenti retorici e chiudere nelle sale di un museo la straordinaria forza vitale delle immagini create da artisti che sono stati davvero i "peintres de la vie moderne" degli anni Sessanta, gli ultimi eredi della grande tradizione realista e insieme i primi rappresentanti di un'arte destinata a contaminarsi sempre più con le realtà rappresentate dai mezzi di comunicazione di massa, con il nuovo ruolo e il nuovo utilizzo dell'immagine - anche di quella artistica - all'interno della società contemporanea. Artisti capaci di divertire, di divertirsi, ma anche di riflettere e una mostra che vuole porsi proprio su questa lunghezza d'onda, una mostra che cerca di capire, e far vedere, perché la Pop Art, parafrasando una parte del titolo del collage di Richard Hamilton che ha dato il via a questa avventura, sia ancora oggi "so different, so appealing".
Un capitolo a parte meritano le sette "bandiere" realizzate da grandi artisti come Lichtenstein, Warhol, Rosenquist, Wesselmann, Dine, Indiana, esposte per la prima volta in Italia, che dimostrano come la Pop Art fosse davvero un'arte in grado di confrontarsi con tutti gli aspetti della creazione artistica, da quelli più alti della pittura a quelli di un artigianato che sconfina nella produzione industriale: spettacolari trasformazioni delle icone classiche della Pop (dalla pistola di Lichtenstein ai Nudi di Wesselmann fino alla Campbell di Warhol), queste bandiere arricchiscono la mostra di un elemento sorprendente ed estremamente significativo.
Lunga è la lista dei musei e delle istituzioni che hanno concesso il prestito di opere primarie, tra questi ricordiamo il Metropolitan Museum, il Guggenheim Museum, il Whitney Museum di New York, la Collezione Berardo e la Fondazione Gulbenkian di Lisbona, il Moderna Museet di Stoccolma, il Musée d'art moderne de Saint Etienne, il Lousiana Museum di Humlebaek, il Mart di Rovereto, la Hayward Gallery di Londra, lo S.M.A.K di Gand e altri ancora.
La mostra è accompagnata da un catalogo di 300 pagine con la riproduzione di tutte le opere esposte accompagnate da schede redatte da Walter Guadagnini, che ha scritto anche il testo introduttivo. Altri testi specifici sono di Lorand Hegyi -dedicato alla diffusione della Pop Art in Europa e in particolare alla Figuration Narrative - e di Daniela Lancioni, dedicato alla fortuna critica della storica Biennale di Venezia del 1964, momento cruciale dell'affermazione della Pop Art americana in Europa.
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