ENTRARICERCA

Ferdinando Pillon
Managing Director Strategie Innovative SI-PMA

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Ferdinando Pillon Managing Director Strategie Innovative SI-PMA

Esiste un “modello di comunicazione” in grado di controllare la Brand Experience?
Come le agenzie di comunicazione si stanno attrezzando per crearlo in un prossimo futuro?

Sarebbe opportuno prima di rispondere, definire bene che cosa si intende per Brand Experience perché in realtà esistono dei modelli, in taluni casi affatto nuovi, che sicuramente non controllano (come nella domanda), ma contribuiscono a veicolare una determinata BE che si presuppone “incarni” la brand. Il punto, casomai, è la necessità e da questo la capacità di creare la BE, attraverso la comunicazione verso il mercato e perciò verso tutti gli stakeholder, secondo il paradigma di Bernd Schmitt padre del customer experience management e tenendo conto della “fluidità”, un trend in crescita, dei consumatori o dei clienti di una brand verso questa e quanto offre. Noi sviluppiamo percorsi e processi di strategie di marketing relazionale votate alla costruzione della consapevolezza e credibilità della marca (delegando la comunicazione) che tengono conto del paradigma schmittiano (sense, feel, think, act, relate) dove la marca deve pervadere/pemeare, offrire conferme, e non battezzare e basta l’experience. Crediamo nella necessità che l’appartenenza e la experience di brand si debbano autodeterminare come fatti spontanei nella più vasta accezione degli stakeholder dell’impresa.

In quale modo la capacità di rinnovarsi di un Brand è trasmessa efficacemente al target di riferimento?

In realtà, la brand deve ricominciare ad ascoltare e ad imparare dal suo target di riferimento (definizione che trovo peraltro riduttiva). Questo la porterebbe ad innovarsi con più efficacia, meno investimenti astrusi o di corollario, e nel contempo, a scoprire percorsi di vissuto (experience) della brand che già sono presenti in punte avanzate dei propri consumatori/clienti (sempre per rimanere circoscritti al tema target).

Come muterà la strategia delle grandi marche per comunicare al mercato l’innovazione dei propri prodotti o servizi? Potranno le grandi marche sopravvivere ai nuovi mercati?

Forse è il caso di tornare a parlare di strategie, ma avere strategie vere e non strategie “esecutive”. Sono personalmente convinto che le aziende che possiedono un gran marchio oggi siano molte, ma poche di queste desiderano realmente diventare, e sono, una grande marca. Il momento storico vedrà una concentrazione di sforzi per tenere, e ad un alto livello di soddisfazione, i clienti in essere, questo sarà dovuto al meno denaro; ad una scelta più ragionata; ad uno shift di preferenza di spesa (non di marca o prodotto/servizio) a prescindere. Questo porterà ad una selezione dura con grandi marchi che verranno meno (come peraltro spesso è già successo). Tenere un cliente e tenerlo con la sua massima soddisfazione, oggi vale più di 100 potenziali nuovi clienti perché assicura stabilità e continuità. Questo si può ottenere solo se si lavora, da subito, per imparare come stabilire e mantenere nel tempo relazioni con i propri clienti stabili e soddisfatte, tutto il resto non varrà nulla. A questo proposito verranno meno, in efficacia, un sacco di belle parole e modalità che hanno fatto il successo di aziende e marchi; sarà necessario ricostruire un nuovo processo di creazione della marca su parametri differenti dagli attuali e con molta più partecipazione e coinvolgimento di tutti gli stakeholder dell’impresa.

Quali conseguenze comporta l’attenzione che le aziende riservano alle attività di comunicazione e alle particolari strategie proprie della Brand Activity?

Bisogna fare un netto distinguo fra prodotti e prodotti e fra servizi e servizi, ma soprattutto fra marchi e marche, intendendo come finora detto, per marchio qualcosa di noto o anche di molto noto, per marca qualche cosa di molto sentito e vissuto dai clienti (e in generale dagli altri stakeholder) perché sempre pronto ad anticipare e a presidiare con qualità le necessità e i desideri di chi gli assicura la continuità. Comunicare questo, richiede un’attenzione globale che significa essere certi di trasmettere non solo i “messaggi”, ma anche le conferme: tangibili, che non possono che arrivare attraverso tutte, dico tutte, le decisioni, le scelte, le azioni di ogni persona. Una sfida interessante per imprese verticistiche e parrocchiali.

Da qualche tempo stiamo osservando un certo sviluppo per alcuni settori del mondo della comunicazione. Esistono media che garantiscono un approccio privilegiato all’utente finale?

Certo lo sviluppo di diverse tecniche, ma sottolineo tecniche, segue come sempre la moda, ovvero un atteggiamento di mee too o di early adopter che in tanti casi significa successo per chi le adotta per primo. Io mi limiterei a esaminare, anche in questi casi, in che cosa consiste questo successo e in quanto è ripetibile nel tempo. Trovo che ancora ci sia troppo spesso un uso tattico casuale, non legato a risultati e a ripetitività; fino a ieri questo non creava problemi anzi, ma se cambierà il mercato come tutti stanno pronosticando, allora chi ragionerà per tattiche sequenziali, seppure innovative, comincerà a perdere colpi e risultati. E non voglio ribadire quello che ogni volta tutti vediamo quando finisce l’era di questa o quella tecnica. Ad ogni buon conto l’impresa deve cominciare a pensare e ad agire come se ogni sua mossa fosse giocata non su una scacchiera piana, ma tridimensionale, Escheriana e perciò anche infida. Sarà una sfida interessante.

Quanto può ritenersi opportuno l’utilizzo di testimonial, di sponsorizzazioni o personalizzazioni di particolari eventi per un’efficace comunicazione del Brand?

Personalmente sono sempre stato contrario al testimonial o alla sponsorizzazione/personalizzazione tout court. Il testimonial o è un coerente ed efficace testimone (come è il caso raro che ho visto recentemente con Little Tony: notorietà evergreen per una fascia di età coerente per cardiopatologie non gravi, unita ad autorevolezza referenziale per l’età e simpatia) o a poco servono; anche se, per i pre-teen e i teen il testimonial determina una forte influenza referenziale per la notorietà. Durerà? Ho visto recentemente il grande lavoro fatto da Morace con il suo Future Concept Lab e i profili che sono emersi, oltre all’efficacia localizzata l’età e altri fattori stanno modificando sensibilmente quello che credono gli operatori del mercato e le imprese. Stessa cosa per le sponsorizzazioni (a qualunque titolo) spesso non si capisce che la sponsorizzazione può essere un super atout per creare lobby territoriali o funzionali (PA, rete vendita) e si preferisce sponsorizzare solo per un mero fatto di “contatti” a livello pubblicitario, il primo paga, il secondo illude anche se con dati a volte impressionanti collegati alla notorietà.

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Ultimo aggiornamento:
1 agosto 2022
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