Primo Media: il Manifesto
In principio fu l’affiche
Henri Toulouse Lautrec
Divan Japonais, 1893
80,8x60,8 cm
Il manifesto è senz’altro il discendente diretto delle grida e delle notificazioni (fogli scritti a mano e appesi nei luoghi pubblici). È così che nel 1482 Parigi annuncia il perdono di Nôtre Dame; sui muri della città di Noyon compare poi “L’avviso alla bella gioventù” che invita al reclutamento nel reggimento di La Fère da parte del Re Luigi XI.
Nel 1617, sempre a Parigi, si apre l’era dei manifesti teatrali e nel 1665, a Londra, si spacciano, via affissione, rimedi contro la peste. Difficile stabilire priorità, ma il primo manifesto canonico, fatto ad arte, è del 1871: titolo “The Woman in White”, opera in bianco e nero di Federico Walker.
Gino Boccasile
Olio Radino 1935
46x61 cm
L’America risponde con “La donna che apre la porta” di Wilkie Collins (1871) e “Singer” di Aubrey Beardsley (1884). Da notare che la prima figura entrata nel perimetro del manifesto è la donna stile liberty, usata come simbolo: è oggetto del desiderio, ma funziona altresì come soggetto seduttivo, che veicola la voglia nascente di consumismo.
Anche da noi il cartellone è l’unico mezzo di comunicazione di massa per parlare ad un intero popolo (con vistosa sacca di analfabeti). La gente esce di casa per apprendere dai muri la chiamata alle armi, le esequie dei notabili-e-non, l’arrivo della celebre compagnia che darà spettacolo al teatro sociale…
Leonetto Capiello
Bitter Campari 1921
200x140 cm
Son tempi grami, di guerra e dopoguerra, e i muri propongono, equamente divisi, messaggi propagandistici trasmessi dal regime (“Taci: il nemico ti ascolta”), la pubblicità istituzionale (esposizioni, fiere, eventi, varo di navi, manifestazioni motoristiche). Fa capolino anche la reclame dei generi voluttuari: liquoristica e abbigliamento dei grandi magazzini. E la pubblicità promette mare e monti con l’invasione del manifesto turistico.
Ai confini dell’arte
Naturalmente si parte da Parigi, caput mundi della “Belle èpoque”, per lanciare il genere frivolo. Ma a dispetto della leggerezza della materia si apre subito un dibattito per la definizione di arti maggiori e minori. Certo è che l’affissione della prima ora chiede la mano esperta e garante di una firma, di un artista che trasloca dalle opere di cavalletto all’impressione su carta: il cartellone nasce dal quadro.
Il primato spetta ad Henry de Toulouse Lautrec che si compiace di promuovere luoghi di spettacolo, attori committenti e primedonne, editoria di riferimento, ma anche prodotti meccanici quali le catene da bicicletta. E a questo punto (udite, udite) si registra il primo contrasto tra Cliente e creativo: siamo nel 1896 e Louis Bougiè boccia il lavoro di Toulouse Lautrec per una rappresentazione infedele del ‘suo’ prodotto.
Fortunato Depero
Bitter Campari 1927
Già allora esistevano le gare: per il lancio di una monografia su Napoleone, Toulouse Lautrec si classifica al terzo posto. Si aggiudica il budget il mediocre Lucien Métivet.
La star del cartellonismo d’autore è comunque Jules Chèret (1836-1932): estremamente prolifico e longevo, è il promotore della pubblicità joyeuse.
I maestri italiani
Marcello Dudovich
Magazzini Mele 1908
205x145 cm
Fino al 1845 l’affissione era vietata in Francia: ma si sa cosa produce il proibizionismo. Nel giro di un lustro, il tempo di togliere il divieto, e il medium passa dal bianco e nero al colore. E cambia faccia al paesaggio urbano. Il colore trionfa grazie al processo di stampa (cromolitografia). Si spiegano così i successi degli artisti-pittori. L’opera di Toulouse Lautrec è richiesta contrattualmente da attori narcisi e vanitosi: Aristide Bruant pretendeva non solo la pubblicità esterna, ma il supporto di due pannelli manifesto ai lati della scena.
È curioso notare che il verbo pubblicitario non veniva per nulla disdegnato dalle voci in voga del mondo artistico. Filippo Tommaso Marinetti, il padre del futurismo, ebbe a definire le luci della reclame “una affermazione ottimistica…la nostra ardente preghiera al sole perché ritorni presto a riscaldare di vita il mondo”.
Adolfo Hohestein
Fratelli Rittatore 1901
64x53 cm
Non a caso è Fortunato Depero ad esibirsi nell’agone pubblicitario con “Squisito al seltz Campari” (1926). La spinta all’azione del comprare e consumare viene riconosciuta come fonte di felicità per gli uomini del qui e ora. Il prodotto-merce viene celebrato come arte comanda. Il cerchio si chiuderà col contrappasso della pop art: il “pubblicitario” Andy Wahrol, dopo aver creato il prodotto, interviene sull’immagine del prodotto di consumo entrata a far parte del quotidiano della gente (Campbell’s, 1960).
La lunga premessa è utile per dare dignità artistica al manifesto. E riconoscere il talento degli autori che hanno fatto scuola in Italia: Beltrame, Caldanzano, Cappiello, De Stefano, Dudovich, Laskoff, Malerba, Mauzan, Mazza, Metlicovitz, Sacchetti, Terzi e Villa.
Il caso Mele e…Casa Ricordi
Gli artisti che abbiamo elencato non solo hanno fatto epoca, ma hanno anche fatto squadra al servizio di un marchio (Mele) e di una “scuderia” mitica: gli stampatori d’eccellenza di Casa Ricordi, autentica fabbrica del manifesto italiano.
Giseppe Magagnoli - Maga
Accomulatori Martignoni 1922
Eccoci davanti al primo fenomeno commerciale italiano: la nascita dell’Emporio Mele, i primi grandi magazzini nostrani che si confrontano con i blasonati La Fayette e Bon Marchè di Parigi. “A massimo buon mercato” è il motto (slogan) che traduce la strategia dei fratelli Emidio e Alfonso Mele che, nel 1885, aprono a Napoli il paradiso dei sogni italico. 2000mq dove trovi proprio tutto: dall’abbigliamento uomo/donna/bambino ai profumi, dai saponi agli orologi, dallo champagne ai mobili. Per cantare le lodi e i plus di questo Bengodi, i Grandi Magazzini Mele arruolano le migliori matite del tempo fornite dall’Officina Grafica Ricordi (contratto di 25 anni).
Nel 1915 la grande guerra decreta la fine del sogno: la bottega chiude. Per fortuna non tutto è andato perduto: il patrimonio dei manifesti è stato recentemente recuperato e battuto all’asta da Bolaffi.
Dal senza parole in poi
Nella sintassi dell’affiche gli elementi fissi dell’iconografia prevedono una figura umana, il prodotto, il marchio amalgamati in una festa di colori vivacissimi. Unica parola ammessa: il nome del prodotto. Il medium murale è stato particolarmente frequentato dalle grandi marche di vini e liquori: Cinzano, Martini, Carpano, Campari. Visto che l’anzianità fa grado, prendiamo come testimone il marchio che vanta 251 anni di vita: Cinzano. Davvero una grande casa, modello di marketing evoluto e di vita, interpretata e raccontata in comunicazione. La sequenza cronologica dei manifesti commissionati e prodotti vale un processo ideologico: il mutar dei gusti e il lancio di nuovi prodotti è il ritratto di un target in mutazione genetica e comportamentale, che assimila gli stili di vita imperanti. 1898: il prodotto è il vino-vermouth, la figura protagonista è un efebico dio Pan, la firma è del grande Adolf Hohestein.
Leopoldo Metlicovitz
Distillerie Italiane 1899
Subentra Leonetto Cappiello con la “zebra” del 1910 e le “bandiere” 1921. Arriva il tempo degli spumanti: cilindro con Magagnoli (1927) e donna che bacia la bottiglia (1938).
E siamo alla svolta del dopoguerra con l’avvento dei nuovi consumi americaneggianti: eccoci ai 3 cavallini di Edel per l’aperitivo Cinzanino (1946); la donna sotto l’ombrellone di Mosca per il Cinzano soda; il jolly per il bitter di Monnerat (1958).
Attenzione: siamo alla vigilia del ’68 e assistiamo ad una piccola rivoluzione: dopo tante castigate bottiglie di spumante da accompagnare in famiglia al dolce domenicale, ecco il cambio di direzione a favore dei teenagers: perché solo la bottiglietta di soft drink made in USA? Ecco il quartuccio di Asti Cinzano. Il manifesto di lancio è per la prima volta dotato di parola “Kiss Kiss, Cin Cin”, recita lo slogan di gruppo.
Guido Crepax introduce la controfigura della esordiente Valentina per l’identificazione del target utile. Il prodotto spopola in area-test sulla riviera romagnola.
Il manifesto al tempo di internet
SEPO (Severino Pozzati)
Panettone Motta 1934
La storia dell’affissione corre veloce al passo dei grandi sistemi comunicazionali. Anni 50 e boom economico accelerano le formazione delle agenzie a servizio completo e la caccia allo spot. Ma il manifesto non demorde, cambia forme e formati, entra nella comunicazione integrata. Via via l’artista cede il passo al creativo d’agenzia. Il collaboratore esterno può essere ancora Boccasile che, esaurita la militanza propagandistica, ripropone sorridenti donne profumate e paffuti e accattivanti piccoli consumatori. Sepo (Severino Pozzati) ha il vanto di aver disintegrato gli schemi con la “M” sinonimo di Motta e milanesità (1934).
Savignac lancia il nuovo quotidiano (“Il Giorno”) spalancando le finestre del suo manifesto anni ’60.
Armando Testa
Puntemes Vermouth 1960
200x140
Erberto Carboni, Gian Rossetti, Pino Tovaglia e Armando Testa promuovono dal tavolo d’agenzia il nuovo corso con risultati che muovono da una grafica rigorosa e di assoluto valore innovativo. Ma ci sono ancora pregiudizi da abbattere. Manifesto primo mezzo e dunque vecchio, superato? Nossignori! L’affissione continua a parlare a costo zero al target utile, è irrinunciabile nelle campagne elettorali (vero Berlusconi, Veltroni, etc…?), è insostituibile per sostenere un marchio. E ha saputo evolversi in forme sempre più spettacolari: manifesti rotanti e retroilluminati, minispot nelle gallerie delle metropolitane, ingressi negli stadi per relazionarsi con spettatori e telespettatori. Ha cominciato a percorrere vie interattive: sui manifesti d’oltre-manica puoi trovare un numero da digitare sul telefonino. Parte l’SMS che ti consente di accedere a un supplemento di informazioni, ai servizi che regalano suonerie e altre diavolerie… Ai giorni nostri computer e nuove tecniche consentono di allargare gli spazi in misura esponenziale. È il trionfo del poster e del fotografo modaiolo. Si salta il muro, si occupa il grattacielo in un tripudio fashion.
Signori della pubblicità, il grande schermo è qui…
CESARE RIGHI
Boccasile
Olio Radino 1935 46 x 61 cm
Cappiello
Bitter Campari 1921, dimensioni 200x140
Depero
Bitter Campari 1927
Dudovich
Magazzini Mele 1908, dimensioni 205x145
Hohestein
Fratelli Dittatore 1901, dimensioni 64x53
Magagnoli (Maga)
Accumulatori Matignoni 1922
Metlicovitz
Distillerie Italiane 1899
Severino Pozzati (Sepo)
Panettone Motta 1934
Toulouse Lautrec
Divan Japonais 1893
Armando Testa
Puntemes Vermuth - 1960 - 200x140
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