Roberto Aiello Multimedia Designer
Le Interviste Mediastars XII Edizione
Roberto Aiello
Multimedia Designer
La Comunicazione può fare squadra?
Nella grande competitività internazionale in cui versiamo oggi, anche nel settore della comunicazione è quanto mai necessaria la collaborazione continua tra professionisti con le competenze più diverse per ricoprire a 360° le esigenze di mercato.
Non è quasi più richiesto che un messaggio venga concepito per essere veicolato solo attraverso un canale mediatico e se non si conoscono bene le caratteristiche dei mezzi e delle tecnologie oggi a disposizione, il rischio è che lo stesso messaggio appaia forzato nelle diverse declinazioni, perdendo di efficacia.
C’è bisogno quindi che professionisti con esperienza pluridecennale nella comunicazione tradizionale si affianchino, anche con umiltà, alle nuove leve che fanno della padronanza dei nuovi media il loro principale punto di forza.
Oggi, rispetto al passato, la conoscenza acquisita non è mai conoscenza definitiva.
Occorre quindi fare squadra ma purtroppo, almeno nel settore della comunicazione, l’ Italia non è certo tra i primi paesi a far proprio questo concetto.
Si vive ancora nel pensare a sé stessi e la reverenzialità verso le cariche e le etichette è ancora troppo forte.
A differenza di quanto succede nel mondo sportivo (da voi citato), dove ogni atleta, ogni allenatore, ogni membro di un team è sotto gli occhi di tutti, in ambito comunicativo spesso i veri fautori di una buona campagna, i protagonisti, rimangono dietro le quinte e messi nell’ombra. Si entra cosi in un circolo vizioso dove creativi e tanti professionisti rischiano di perdere l’amore per ciò che fanno.
E questa è cosa nota non solo in ambito aziendale ma anche e troppo spesso in ambito accademico.
In questo senso, le grandi agenzie di comunicazione internazionali hanno cominciato a comprendere e valorizzare le figure dei freelance, troppo spesso considerati, in italia dalle “grandi” agenzie di comunicazione, come manovalanza a basso costo piuttosto che come professionisti in grado di dare idee di qualità oltre che competenza tecnica.
Pensa che si possa verificare una combinazione altrettanto fortunata anche per quanto riguarda il settore della comunicazione italiana rispetto a quella estera?
Uno sviluppo crescente, sul modello di quanto succede all’estero, dei collettivi di freelance, potrebbe portare in italia una ventata di novità e nuova linfa vitale al lavoro di squadra.
E’ ormai realtà che molti progettisti e professionisti della comunicazione stanchi di logiche commerciali a volte assurde, si siano riuniti in squadre molto efficaci.
Il lavoro di squadra, e per quanto riguarda il mio caso specifico, il lavoro in team con altri freelance, moltiplica in modo esponenziale il talento dei singoli individui, accrescendo il carattere, la varietà e la visibilità dei risultati, diventando un ambito di lavoro preferenziale per qualsiasi professionista.
Se in Italia si cominciasse ad uscire da quella barriera di onnipotenza che molti si sono costruiti attorno, allora ci sarebbero i presupposti per creare dei team efficienti, tali da poter eguagliare i recenti successi sportivi presi ad esempio.
Crede che il nostro settore sia ben rappresentato dalle Associazioni della comunicazione italiana? Con la vostra struttura o personalmente aderisce a qualcuna di queste? Quanto si sente partecipe delle loro iniziative?
Sono sicuramente a favore di strutture che si occupino di tutelare la nostra professione, ponendosi come saldo supporto alle attività quotidiane, che vadano dal condividere una deontologia comune fino alla questione delle retribuzioni.
Purtroppo in italia non è raro vedere che queste associazioni diventano a volte delle lobby di potere, con casi (visibili sui maggiori blog della scena nazionale) in cui vengono delineati ad hoc concorsi e relativi vincitori in sistemi non proprio trasparenti, senza contare che a volte si potrebbe mettere in discussione anche il reale interessamento ad ascoltare i bisogni dei singoli associati.
E’ per questo motivo che pur essendo spesso interessato ad associarmi, puntualmente sono portato a ritornare indietro sui miei passi.
All’interno della vostra struttura riesce a delineare quali sono stati i risultati della sua attività di coaching? E in particolare pensa di essere un buon coach di se stesso?
Uno dei casi in cui l’attività di coaching ha portato a buoni risultati, con un valore aggiunto per tutto il processo produttivo, è stato sicuramente la mia esperienza di docenza al primo corso di perfezionamento in tecnologie e linguaggi multimediali tenutosi all’ Università della Calabria.
Gli studenti del corso, con già alle spalle le esperienze professionali più diverse, sono stati divisi in gruppi per produrre delle campagne di comunicazione (con tema la promozione dello stesso ateneo).
Il ruolo di collante degli elementi all’interno dei vari gruppi ha portato gli studenti a confrontarsi producendo dei risultati che andassero oltre la mera somma dei singoli elementi protagonisti.
Lo scambio di idee e il continuo apprendimento da ogni singolo elemento sono solo alcuni dei vantaggi derivanti dal lavoro di squadra. Tutto questo porta via via ad essere anche buoni coach di sé stessi, con la consapevolezza che c’è sempre un vantaggio ad ascoltare e condividere le proprie impressioni e conoscenze con gli altri.