Felice Rusconi
Vicepresidente e Executive Producer Central Groucho
Che cosa sta cambiando nel mondo della pubblicità?
E’ diventato un mondo senz’altro più difficile e faticoso: la competizione non avviene più tanto sulla qualità quanto sui prezzi e quindi noi, pur cercando di lavorare al meglio, abbiamo difficoltà a fidelizzare il cliente, che è molto sensibile al richiamo di un costo inferiore. Noi ci troviamo tra l’incudine e il martello: cerchiamo di fare buone proposte produttive, con i migliori registi, ma dobbiamo affrontare una forte concorrenza, tutta giocata sul prezzo.
E così non c’è la possibilità di avere una continuità nel rapporto, una vera partnership con il cliente: tutti cercano un po’ di approfittare del momento di crisi per spuntare prezzi più bassi. Ma così si lavora male, tutti quanti.
In questo contesto, che ruolo ha la creatività?
Il rischio, in un momento come questo, è proprio quello di penalizzare la creatività.
I clienti cercano di ottimizzare le risorse, quindi cercano di dire tutto in 30 secondi e il risultato sono film molto ‘parlati’, confusi, una macedonia di messaggi; in particolare poi i direttori marketing non vogliono rischiare, per cui testano e ritestano tutte le campagne, lasciando poco spazio all’iniziativa dei professionisti.
Insomma, i clienti sono frenati, le agenzie hanno certamente idee creative ma non sanno imporsi, non sanno dire di no al cliente, e neppure noi. Il risultato è che si tende un po’ al conformismo, c’è poca iniziativa, poco coraggio.
Come uscire da questa situazione?
Da un lato noi cerchiamo di capire le esigenze dei clienti, di trovare la via per farli spendere di meno, giocando ad esempio molto sulla post-produzione dove, con la computer grafica, è possibile ridurre notevolmente i costi.
Dall’altro penso che bisognerebbe avere un guizzo di fantasia, non fare le pecore, cercare di trovare modi di comunicare che consentano di emergere. E lasciare più spazio ai creativi: va bene seguire le linee guida, ma se paghi un regista, se lavori con una casa di produzione riconosciuta, un po’ di libertà bisognerebbe lasciarla, in fondo siamo pagati per questo.
Però nel caso della campagna Muller Fruup, che ha vinto la Special Star per gli Effetti Speciali, non si può parlare di conformismo...
No, certo: Muller è un cliente coraggioso, che ha sempre fatto una comunicazione particolare, giocata su mondi fantastici, e anche l’agenzia Phoenix, con cui abbiamo la fortuna di lavorare da diversi anni, è stata molto brava, ci è stata dietro in un modo favoloso.
Devo dire che, appena visto lo story board, ci è apparsa un’idea molto difficile: c’erano questi nasi, bocche, occhi che volavano... c’era un po’ la paura di dare un effetto di ‘smembramento’, con queste parti del corpo svolazzanti.
Quindi c’è stato uno studio attentissimo del design di questi elementi: l’occhio ad esempio sembrava più facile, più bello da vedere, mentre il naso era un po’ buffo, quindi dopo varie prove abbiamo scelto nasi di bambini, per addolcire l’immagine; poi c’è stato molto lavoro sulle ali, le trasparenze, i movimenti... abbiamo fatto una ricerca di immagini di volo, dal volo degli uccellini a quello di personaggi fantastici, come il personaggio di Trilly nei film di Peter Pan, perché era una cosa nuova, mai vista.
Qui il ruolo delle tecnologie digitali è stato rilevante...
Sì, è stato tutto creato in computer grafica, tutti i background e anche i frutti, che sono stati girati dal vero, sono però poi sono stati anch’essi ricostruiti in computer grafica per dare loro più splendore, più appetizing.
Ma le nuove tecnologie sono state fondamentali anche dal punto di vista operativo: gli effetti speciali sono stati fatti in Australia, dove lavoravano alla mattina e, per via della differenza di fuso orario, quando noi tornavamo in ufficio potevamo vedere i lavori fatti il giorno prima e rispondevamo; loro al ritorno vedevano la nostra risposta e potevano proseguire; anche l’agenzia controllava tutti i vari step e ci dava l’ok a procedere.
Tutti questi lavori infatti richiedono di avere risposte immediate per poter procedere, perché ritornare indietro è difficile ma, grazie alle tecnologie digitali, non abbiamo perso tempo, anche quando noi eravamo qui in Italia.
Come è nata questa esperienza australiana?
La scelta è nata innanzitutto perché il regista è australiano e il film richiedeva una sua presenza costante, e inoltre anche la modella era australiana; quindi ci hanno proposto di lavorare con questo studio, Emerald City, di cui poi siamo diventati rappresentanti per l’Italia, che offriva costi molto interessanti e in più aveva un curriculum favoloso: basti pensare che avevano lavorato per il Signore degli Anelli.
Insomma, abbiamo scelto di stare là ed è stata una bellissima esperienza anche per noi.
In questo caso c’è stata la possibilità di dare un contributo anche creativo...
Sì, questo lavoro è stato piuttosto eccitante dal punto di vista produttivo: io l’ho seguito in prima persona, sono stato là quasi tutto il periodo, ed è stato molto bello partecipare a tutte le riunioni, dare il mio contributo per creare tutti i pezzi del puzzle, cercare di dare molto carattere a tutte le varie parti - occhi, nasi, bocche... - sia nei movimenti, sia in questa scia magica, per fare sì che non fossero visti come ‘pezzi’ staccati ma come elementi con una loro personalità.
Questo ruolo crescente della computer grafica che cosa comporta per voi?
Oggi molti prodotti si possono riprodurre in 3D in modo molto efficace, quindi puoi utilizzarli e muoverli nei filmati con molta più liberà e facilità, invece di dover girare ‘dal vero’, con tempi e costi molto maggiori.
Questo facilita molto il lavoro per quanto riguarda i tempi, perché oggi i clienti ti danno due giorni per fare la gara, che già è follia, poi ti dicono: dimenticavo, ne ho bisogno per domani.
Questo richiede un rapporto continuo con le strutture di post-produzione: noi siamo aperti a tutti, ci piace lavorare con tutti proprio perché, a seconda delle necessità, del progetto, individuiamo i professionisti migliori, i più adatti, come è accaduto nel caso di Muller con Emeral.
Ci sono altri cambiamenti in atto nel vostro modo di lavorare?
Direi di no: abbiamo un gruppo forte, che funziona con grande armonia, cosa che ritengo molto importante.
Anche la nostra filosofia è immutata: da un lato continuiamo a proporre registi italiani, cercando sempre il miglior regista per ogni progetto, secondo la tradizione della Groucho Film; dall’altro, seguendo l’esperienza di Central Milano di scovare registi in giro per il mondo, il nostro reparto Ricerca e sviluppo continua a lavorare internazionalmente per scoprire nuovi talenti: come Richard Gibson, che siamo stati i primi a portare in Italia, ultimamente Craig Tanimoto con Granarolo... diciamo che mediamente 3-4 registi nuovi riusciamo a portarli in Italia ogni anno.
Crediamo che sia utile proporre nuove regie ai creativi, specialmente in un momento come questo, in cui tutti hanno paura di tentare strade nuove. E’ sempre difficile, però ci crediamo, ed è il nostro lavoro convincere i clienti e garantire il risultato migliore.
Che cosa augurerebbe oggi a questo settore?
Di riscoprire il valore della creatività, di lasciar lavorare i creativi, con maggiore libertà di pensiero, di espressione; oggi è tutto troppo calcolato, legato alle vendite, a logiche di breve termine. Ma credo che questo atteggiamento non ci aiuti ad uscire dalla crisi, anzi.
E poi, vorrei capire perché si deve sempre lavorare a tempo di record: i clienti tirano lungo e poi, siccome hanno già comprato gli spazi, si decidono due giorni prima... e questo significa per noi altri costi, perché hai bisogno di tanta gente per portare a termine quel lavoro in poco tempo...
Ma per fare bene un film bisogna poter dedicare il tempo necessario, ci vorrebbe un mese.
Personalmente, vorrei poter continuare a divertirmi: per fare bene questo lavoro, bisogna poterlo fare divertendosi e oggi purtroppo, con tempi e costi sempre più stretti, questo è ogni giorno più difficile.