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Erik Ciravegna
Il progetto informazione e i nostri strumenti di comunicazione: Parola o Immagine?

Senza titolo

Erik Ciravegna

Come parole e immagini convivono, oggi, nella formulazione di un concetto? Quale di questi strumenti avrà la meglio in termini comunicativi?

Un vecchio adagio popolare recita “un’immagine vale mille parole”. Intuitivamente sembrerebbe difficile negare questa affermazione, poiché è certamente vero che l’immagine per sua natura è più sintetica e immediata della parola, nella sua ricezione da parte dei destinatari. Tuttavia l’opinione, così largamente diffusa, che l’iconico sia sempre e comunque comunicativamente più efficace rispetto al verbale non è così vera, o quantomeno lo è solo in parte.

Determinante, in realtà, è l’uso delle modalità espressive più appropriate in funzione degli obiettivi comunicativi che si vogliono raggiungere: a seconda delle finalità, poche parole possono talvolta valere più di mille immagini oppure un’adeguata combinazione di verbale e iconico, con un’opportuna “regia” comunicativa, può essere più efficace dell’uso delle sole parole o delle sole immagini. Nel panorama attuale dei mezzi di comunicazione, per esempio, si riscontra ancora troppo spesso un uso superficiale delle immagini (si pensi all’uso non adeguatamente controllato di fotografie di repertorio o di immagini fortemente stereotipate, fino alla loro banalizzazione) o che si affidi all’immagine un messaggio che sarebbe più opportuno spiegare a parole o viceversa, con il risultato di confondere il destinatario invece di fargli capire chiaramente i contenuti della comunicazione.

Per superare la dicotomia parola-immagine, prima ancora di chiedersi con quali modalità espressive trasferire un messaggio, occorre dunque soffermarsi su quali contenuti trasferire e con quale finalità si attua tale trasferimento, ponendo al centro del progetto di comunicazione il destinatario con le sue specificità e le reali sue necessità.

Nel caso del packaging design, per esempio, siamo di fronte a un oggetto che è entrato ormai a far parte a pieno titolo dell’insieme di strumenti di comunicazione che la marca utilizza per veicolare messaggi e rafforzare la propria identità e la propria credibilità di fronte al consumatore.[2] Dalla primaria funzione di “garante” della qualità del prodotto, con il passare del tempo l’imballaggio ha incrementato le proprie funzioni comunicative e ha visto “stratificarsi” sulla sua superficie messaggi di varia natura, rappresentati non solo attraverso le componenti verbo-iconiche, ma anche attraverso le caratteristiche morfologiche della struttura, le finiture di superficie ecc. È diventato un supporto su cui si articola una complessa narrazione intorno al prodotto e un mezzo attraverso cui si diffondono, analogamente agli altri media, una molteplicità di contenuti comunicativi, non solo informativi o prescrittivi, ma anche di tipo valoriale o concettuale, che concorrono alla formazione del gusto, alla costruzione dell’immaginario e alla modificazione dei comportamenti.

Tuttavia, l’incremento dei contenuti veicolati dalla confezione non è avvenuto in modo omogeneo ed equilibrato, ma anzi con un forte sbilanciamento verso la dimensione seduttiva e persuasiva a scapito di quella informativa e prescrittiva.[2] Se si considera il contesto comunicativo in cui è inserito oggi il packaging, si possono facilmente riscontrare le conseguenze di tale sbilanciamento: inquinamento visivo, saturazione semantica, omologazione, a cui corrispondono una scarsa qualità informativa e un’incapacità a rivolgersi a fasce differenziate di destinatari. Criticità che investono tutto il settore e che richiedono, richiamando le responsabilità sociali del designer [6][7][8], un ribaltamento di prospettiva e un ripensamento delle logiche che stanno alla base del progetto stesso del packaging: verificando i contenuti trasferiti, ma anche le modalità comunicative con cui si attua tale trasferimento, affinché sia assicurato un corretto “dialogo” con il consumatore, cui deve essere attribuita una rinnovata centralità.[1][5]

In questo senso anche il concetto di target deve essere riconsiderato: non tanto un “obiettivo” da raggiungere o un “bersaglio” da colpire, quanto piuttosto un “utente”, un “fruitore”, un “soggetto” a cui rivolgere con rigore dei contenuti comunicativi di qualità, tenendo conto di necessità specifiche, per esempio anche in presenza di disabilità.[3] Un intervento che implica la revisione sia dei contenuti veicolati, sia dei criteri di organizzazione topologica degli elementi presenti sull’imballaggio che determinano l’ordine di lettura e le gerarchie percettive con cui viene guidata l’esplorazione visiva delle informazioni. Si tratta di trovare un giusto equilibrio, bilanciare le componenti seduttive con quelle informative, ridimensionando le prime e riconoscendo alle seconde una nuova centralità.

In questo quadro, un miglioramento della qualità comunicativo-informativa del packaging, oltre a fornire un servizio e un plus effettivo al consumatore, può diventare leva strategica ed elemento differenziante per la marca in un mercato sempre più saturo di prodotti fortemente omologati. E il tema dell’accesso alle informazioni, intendendo l’accesso come forma di avvicinamento e di conoscenza del contenuto (sia un contenuto informativo veicolato dal packaging, sia il prodotto stesso, inteso come oggetto fisico cui accedere attraverso la confezione), può diventare una chiave prioritaria per lo sviluppo di innovazione.

In ambito accademico, le esperienze maturate nel contesto didattico [3] così come le ricerche teoriche [4] e le sperimentazioni progettuali, svolte in collaborazione con alcuni dei principali soggetti che operano nella filiera dell’imballaggio, hanno approfondito proprio il progetto dell’accesso e confermato l’opportunità per il design della comunicazione di fondare sull’accesso comunicativo-informativo nuovi possibili percorsi di innovazione.[5] È possibile, cioè, definire soluzioni progettuali che offrano una risposta alle criticità evidenziate, in controtendenza rispetto all’attuale panorama produttivo, ma capaci di rispondere alla continua domanda di innovazione da parte del mercato.

Riferimenti bibliografici

1. AA.VV., Questione di leggibilità, Venezia, Progetto Lettura Agevolata Comune di Venezia, 2005.
2. Bucchetti, Valeria, La messa in scena del prodotto, Milano, FrancoAngeli, 1999.
3. Bucchetti, Valeria (a cura di), Packaging contro.verso, Milano, Edizioni Dativo, 2007.
4. Bucchetti, Valeria e Ciravegna, Erik, Durabilità e scadenza nella comunicazione di prodotto, Milano, Edizioni Dativo, 2007.
5. Ciravegna, Erik, La qualità del packaging. Sistemi per l’accesso comunicativo-informativo dell’imballaggio, Milano, FrancoAngeli, 2010.
6. Fabris, Adriano, Etica della comunicazione, Roma,Carocci, 2006.
7. Frascara Jorge, User-Centred Graphic Design. Mass Communication and Social Change, London/Washington, Taylor & Francis, 1997.
8. Steiner, Albe, Il mestiere di grafico, Torino, Einaudi, 1978.

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Ultimo aggiornamento:
1 agosto 2022
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