Claudio Capovilla
Consumer Playmaker: Nella delicata fase d’arrivo presso l’audience di riferimento, quali sono le condizioni che regolano la buona ricezione del messaggio?
Claudio Capovilla
CEO Gruppo Icat
L’utente come percepisce la diversa tipologia di messaggi nell’affollamento quotidiano degli avvisi pubblicitari? Quale tipo di engagement risulterà maggiormente gradito?
Credo che l’elemento chiave sia riuscire a emozionare e, soprattutto, a far sentire le persone protagoniste di una storia, partecipi in primo piano di qualcosa che esprima la loro identità e personalità. Ma anche che permetta a loro di mettersi in gioco, magari in modo simpatico, autoironico. Tutto, chiaramente, dipende dal canale utilizzato: le “regole di ingaggio” su Facebook sono decisamente diverse da Twitter o da LinkedIN, per rimanere nel mondo social. Quello che è essenziale è riuscire ad ascoltare veramente i propri pubblici, per capire i loro sentimenti, le loro aspettative, il loro life journey, e utilizzare i canali giusti per il messaggio che si vuole trasmettere. È una rivoluzione copernicana nell’approccio: se n’è sempre parlato, ma oggi i social hanno reso ineludibile un ascolto profondo delle persone alle quali parliamo.
Spesso non ci accorgiamo di quanto gli algoritmi stiano pilotando le nostre scelte attraverso l'utilizzo dei Big Data. Quale sarà Il futuro della comunicazione? Sarà esclusivamente Data Driven o c’è la possibilità di una svolta creativa Human Driven?
I dati rilevano e sono testimoni di un comportamento. Quello che clicchiamo, quello che compriamo, quello che condividiamo: tutto dice qualcosa di noi, o meglio registra quello che facciamo, le nostre preferenze, i nostri gusti. Questo non spiega però perché le persone compiono certe azioni, che cosa li porta, per esempio, a cliccare mi piace su un contenuto. Solo l’emozione riesce a spiegare tutto ciò, perché è il motore dell’azione: siamo mossi da ciò che ci colpisce, da ciò che provoca in noi un sorriso, una sensazione, un’intuizione. Per questo, sono convinto che sia sbagliato parlare di una scelta drastica fra data driven e human driven: siamo propensi a fare qualcosa solo se il brand che ci propone di farlo è affine al nostro orizzonte emozionale, solo se risveglia in noi un desiderio. I dati semplicemente offrono alle aziende elementi fondamentali che permettono di conoscere con sempre più precisione cosa pensano, scelgono e vogliono i loro utenti. E questo permetterà in futuro di arrivare a proporre contenuti sempre più appropriati, quasi personalizzati sui singoli individui. E i brand verranno percepiti come interlocutori con i quali dialogare, ai quali chiedere consiglio.
All’interno di un mercato sempre più esigente e competitivo, l’elemento cardine per le aziende resta la reputazione, attraverso la quale sono quotidianamente sotto esame da parte dei consumatori. La sostenibilità può aggiungere personalità al brand, suscitando un interesse più marcato nelle nuove generazioni?
La sostenibilità è oggi un asset fondamentale per molte aziende. Si è passati, infatti, dal parlare di sostenibilità solo in occasione di scandali o di incidenti ambientali a farne un fattore competitivo strategico. Ed è indubbio che le persone, grazie alla disponibilità e all’accesso a moltissime informazioni, sono diventate più sensibili ad aspetti legati al processo di produzione, ai materiali o agli ingredienti usati. Questo impone alle aziende l’adottare politiche chiare e trasparenti. Ma è fondamentale una cosa: che un piano di CSR innervi tutti i livelli manageriali e produttivi. Non può diventare solo uno strumento di marketing, ma deve orientare lo sviluppo delle strategie di business, perché l’attenzione ai temi etici e ambientali è il banco di prova utilizzato dai consumatori per testare la credibilità di un’azienda.